8 luglio 2020 08:58
Quanta plastica finisce nel circuito del compostaggio e quanta bioplastica in quello del riciclo meccanico? Per saperlo,
Corepla e
Consorzio Italiano Compostatori (CIC) avevano avviato quattro anni fa una ricerca sul campo analizzando i flussi di rifiuti da imballaggio in una trentina di impianti di compostaggio in Italia (
leggi articolo). Lo studio è stato aggiornato, anche alla luce della crescita dell’uso di plastiche compostabili, e ieri sono stati presentati i
risultati condotti presso presso
27 impianti di compostaggio e integrati (digestione anaerobica + compostaggio).
TRIPLICATE LE BIOPLASTICHE. Il primo dato è che, a fronte di una crescita dei rifiuti organici trattati (+20% dal 2016 al 2019), in virtù del potenziamento della raccolta differenziata, la quantità di
bioplastiche compostabili in entrata negli impianti di compostaggio è triplicata, passando dalle circa 27.000 tonnellate annue (espresse sul secco) della rilevazione 2016/2017 alle circa
83.000 t/a della campagna 2019/2020; ed è raddoppiata l’incidenza rispetto al totale dei rifiuti umidi, dall’1,5% al
3,7%.
Al contempo, anche la presenza di
plastiche non compostabili nei rifiuti organici è cresciuta, passando da 65.000 t/a (sempre sul secco) a quasi
90.000 t/a, pari al
3,1% del totale, ma in questo caso l’incremento dei volumi (+23%) risulta proporzionale all’aumento delle quantità di organico raccolte e avviate a compostaggio (+20%). In sostanza, agli impianti di compostaggio arriva più plastica tradizionale rispetto alla bioplastica compostabile, nonostante la forte crescita di quest'ultima.
Gli imballaggi rappresentano il 70% della bioplastica conferita nell’umido, per quasi la totalità flessibile. Il 90% della plastica non compostabile presente nell’umido è flessibile e gli imballaggi rappresentano circa il 50% del totale.
Nel complesso, negli impianti di compostaggio industriale entra il
5,2% di
rifiuti non compostabili (oltre alla plastica anche vetro, metalli, pannolini, cialde caffè, altro), volume superiore dello
0,3% rispetto alla precedente rilevazione. Considerando l’effetto di trascinamento, ciò comporta uno scarto da avviare in discarica intorno al 13,5% totale, ovvero circa 600.000 tonnellate che equivalgono ad un
costo di smaltimento stimato tra
90 e
120 milioni di euro a carico della filiera.
SACCHI E SACCHETTI. L’indagine ha consentito di approfondire le abitudini degli italiani in relazione ai sacchi e ai sacchetti utilizzati per il conferimento della frazione umida. Rispetto al 2017 cresce del +6,8% la presenza di manufatti conformi alla norma. Il
63,8% dei sacchi per contenere l’umido è
compostabile: si tratta soprattutto di shopper in plastica compostabile (38,5%), mentre diminuiscono del 6% quelli specifici per la raccolta differenziata del rifiuto organico (15,1%) e vengono rilevati anche sacchi compostabili con capacità superiore a 50 litri (2,4%). Rispetto a tre anni fa si nota la comparsa dei sacchetti compostabili per ortofrutta, utilizzati per conferire l’organico (7,6%), introdotti nei reparti dei supermercati a partire dal 2018.
Resta significativo, anche se si riduce nel tempo, l’utilizzo di
sacchi non compostabili per la raccolta dell’umido, pari a
36,2% del totale, sebbene non possano esser utilizzati a questo fine: si tratta di shopper di plastica (10,6%), ormai fuori legge da qualche anno, e di sacchi tradizionali per l’indifferenziato (21%), mentre si nota una diminuzione di sacchetti per l’ortofrutta in plastica (1,8%) e scompaiono quasi del tutto i manufatti per la raccolta rifiuti organici in plastiche additivate e oxo-biodegradabili (0,1%).
Se le plastiche “inquinano” il flusso di rifiuti organici in ingresso agli impianti di compostaggio, non mancano rifiuti in
bioplastica finiti erroneamente nel circuito degli
imballaggi in plastica destinati a riciclo, stimati in circa
6.000 tonnellate annue.
Infine, per quanto riguarda il prodotto finale del processo, il
compost, va rilevato che
non è stata rilevata bioplastica nei 27 impianti esaminati dalla ricerca (quindi la biodegradazione dei rifiuti è stata completa), mentre la quantità di residuo di
plastiche convenzionali è risultata
entro i limiti previsti dalla normativa vigente (0,5% sul secco, limite che tra due anni scenderà allo 0,3%).
© Polimerica - Riproduzione riservata