6 giugno 2019 09:00
Assobioplastiche, associazione della filiera italiana delle plastiche compostabili, ha presentato ieri a Roma il quinto
Rapporto annuale, fotografia aggiornata del comparto, frutto di una ricerca di mercato elaborata ogni anno dalla società milanese
Plastic Consult.
I
numeri, lo diciamo subito, sono tutti
positivi, come lo possono essere quelli di un comparto dinamico che non ha ancora raggiunto la sua maturità, i cui consumi sono trainati dai sacchetti per la spesa, sacchetti ultraleggeri per ortofrutta e, in prospettiva, dagli articoli monouso, prodotti in cui le plastiche tradizionali sono state messe fuori gioco da normative ambientali, o lo saranno a breve. In altre parole, dove la competizione non è basata sul prezzo.
LA STRUTTURA DEL SETTORE. Considerando l’intera filiera delle plastiche compostabili, dalla sintesi di materie prime e compound, fino alla prima trasformazione per arrivare alle lavorazioni finali, come ad esempio la produzione del sacchetto partendo da biofilm, il settore conta
252 aziende con
2.550 addetti dedicati, contro - rispettivamente - le 240 aziende e i 2.460 lavoratori dell’anno precedente. L’andamento è ancora più significativo se questi numeri vengono rapportati a quelli del 2012, agli albori della nascita del comparto nel nostro paese: il numero di aziende risulta in crescita del 67%, da 143 a 252, e quello dei lavoratori è praticamente raddoppiato.
In sei anni - si legge nel Report di Assobioplastiche - il giro d’affari è invece salito dell’87% a 685 milioni di euro, ben superiore a quello del 2017 (545 milioni di euro) e del 2016 (474 milioni), anche grazie all’avvio di nuove produzioni in Italia di biopolimeri e intermedi. Un tasso di crescita medio annuo dell’11%, difficile da riscontare in altri comparti del manifatturiero.
Segmentando la filiera, i fornitori italiani di intermedi e base chemicals sono cinque, con 315 addetti e un giro d’affari di 123 milioni di euro, mentre nella produzione di compound e granuli pronti alla trasformazione sono attive una ventina di aziende con 350 addetti e 210 milioni di fatturato. Scendendo ancora, si arriva alla prima trasformazione, che conta 62 operatori,1.660 addetti dedicati e 315 milioni di euro, per arrivare alle seconde lavorazioni, con 65 operatori, 230 lavoratori e un giro d’affari di 35 milioni.
Probabilmente il comparto è destinato a
crescere ancora: nel corso della ricerca, Plastic Consult ha individuato infatti una cinquantina di aziende di prima trasformazione che l’anno scorso hanno condotto prove e test sulle plastiche compostabili, in vista di interventi di riconversione o diversificazione della produzione.
CRESCONO I CONSUMI DI BIOPLASTICHE. Ricordando che i dati si riferiscono alla produzione di articoli in bioplastiche compostabili (escluse quindi quelle biobased, ma non biodegradabili), nel 2018 sono state processate in Italia
88.500 tonnellate, contro le 73.000 del 2017 (+21%) e le 61.100 ton del 2016, mentre il raffronto con il 2012 indica un incremento del 125% (erano 39.250 ton).
Al primo posto, per consumi di bioplastiche, ci sono i sacchetti per l’asporto di merci con il 61% del totale e un incremento del'8,4% sul 2017, seguiti dai sacchetti ultraleggeri con il 19%, mentre il restante 20% si suddivide tra sacchi per la raccolta dell’umido, articoli per l'agricoltura, la ristorazione, liimballaggio alimentare e l’igiene della persona.
CHI CORRE DI PIÚ. Paolo Arcelli di Plastic Consult ha quindi indicato i settori emergenti nel biennio 2018-2016: al primo posto i
sacchetti ultraleggeri, che anche grazie alla legge entrata in vigore nel 2017 in Francia e l’anno seguente in Italia sui sacchetti per ortofrutta, hanno visto più che raddoppiare i consumi, da circa 8.000 a
16.000 tonnellate, posizionandosi subito dietro gli shopper (53.500 ton).
Nello stesso periodo sono anche raddoppiati i consumi di
film non alimentari (+41%), hanno segnato una crescita significativa quelli di
articoli monouso (+90%) e, pur con tassi inferiori, di
film agricolo (+14%), che hanno sfiorato le 2.000 tonnellate e sono stimati in ulteriore progressione.
IL CASO SACCHETTI. Un discorso a parte va fatto per i
sacchetti monouso per la
spesa, che ormai da qualche anno (la prima normativa risale addirittura al 2011, ma le sanzioni sono entrate in vigore solo nel 2015) nel nostro paese devono essere esclusivamente biodegradabili e compostabili, ma nella realtà sono in larga parte ancora prodotti con polietilene: la buona notizia è che nel 2017 gli
shopper legali hanno
superato in peso quelli
non rispondenti alle normative; la brutta notizia è che il 40% circa dei sacchetti distribuiti soprattutto da ambulanti e piccoli esercizi è prodotta con plastiche non compostabili, talvola falsamente marchiati come tali. In ogni caso, con l’introduzione degli shopper a pagamento, il
consumo totale ha subito una progressiva erosione, passando dalle 118.000 tonnellate del 2013 alle
88.000 ton dello scorso anno, di cui 53.500 ton in bioplastica compostabile.
Come per gli shopper, anche i sacchetti destinati a contenere la frazione organica dei rifiuti (umido) hanno visto negli ultimi anni una crescita sostenuta, sia sul mercato interno che all’export; e in futuro potranno registrare tassi di crescita anche superiori con l’introduzione della raccolta differenziata dell’umido nel resto d’Europa.
Passando ai
sacchetti ultraleggeri, se da un lato è attesa un’ulteriore crescita del loro consumo in Italia e in Europa, dall’altro aumentano i timori di un invasione di
prodotti asiatici, la cui conformità alle normative vigenti - soprattutto nel contenuto di
materie prime biobased (che l’anno prossimo salirà dal 40% al 50%, alzando così l’asticella sotto il profilo tecnologico) - non è sempre facile da verificare se non si dispone di un laboratorio dotato di attrezzature avanzate.
INCOGNITE SUI MONOUSO. L’analisi del trend relativo agli
articoli rigidi monouso in bioplastica è influenzata dalla recente approvazione della direttiva europea che mette al bando alcuni articoli, tra i quali spiccano le stoviglie usa-e-getta, dove il nostro paese è al
primo posto in
Europa per consumi e produzione, e ne limita fortemente altri.
Assobioplastiche ritene che nel recepimento della direttiva in Italia vi siano
appigli per escludere le
bioplastiche compostabili dal divieto (
leggi articolo) e ciò dovrebbe spingere verso l’alto i consumi, grazie alla sostituzione delle plastiche tradizionali nei piatti e nelle posate. Se questa interpretazione fosse accolta dal Parlamento italiano in fase di recepimento della direttiva, e accettata da Bruxelles, la produzione di stoviglie monouso andrebbe giocoforza
riconvertita alle bioplastiche, salvaguardando un patrimonio industriale e centinaia di posti di lavoro che altrimenti andrebbe persi.

Alla presentazione dei dati di mercato, è seguita una
tavola rotonda su "La bioeconomia italiana come driver dello sviluppo del sistema Paese”, alla quale hanno partecipato, insieme a Marco Versari, Presidente di Assobioplastiche anche Flavio Bizzoni, presidente CIC; Paolo Carnemolla, presidente FederBio; Christophe De Boissoudy, presidente Club Bioplastique France; Mario Maggiani, direttore Amaplast e Marco Pagani, direttore area legale Federdistribuzione (
leggi articolo).
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