I produttori di additivi replicano al Bioplastics Council: “anche le oxo-biodegradabili sono bioplastiche”.
Non si è fatta aspettare la replica dei produttori di additivi oxo-biodegradabili al documento pubblicato nei giorni dal Bioplastics Council, gruppo d'interesse che riunisce i produttori di biopolimeri in seno all'associazione statunitense Society of the Plastics Industry.
La replica arriva dalla britannica Symphony Environmental, la quale afferma che tutte le plastiche nel lungo periodo degradano e biodegradano e che gli additivi oxo-degradabili non fanno che accelerare questo processo, con benefici per l'ambiente qualora i manufatti a fine vita non siano avviati a riciclaggio. Non si tratta quindi di nuovi materiali, ma di miglioramenti di materiali esistenti.
Symphony sottolinea poi che le tesi del gruppo americano sono le stesse propagandate la scorsa estate da European Bioplastics, anche perché alcuni produttori di biopolimeri fanno parte di entrambe le organizzazioni. Tesi per altro confutate – a detta di Symphony – dal Prof. Gerald Scott, professore emerito di Scienza dei Polimeri presso la Aston University e chairman del comitato sulla biodegradabilità delle bioplastiche presso il British Standards Institute.
Lo scienziato britannico non sarebbe d'accordo sul mero effetto di frammentazione operato dagli additivi oxo-biodegradabili, in quanto le formulazioni sarebbero in grado di ridurre il peso molecolare dei polimeri (le normali plastiche di origine petrolchimica) fino a consentire la completa degradazione da parte di funghi e batteri.
Symphony controbatte, tacciandola di non avere fondamenti scientifici, anche la tesi che le plastiche degradabili o biodegradabili incoraggino il 'littering', ovvero l'abbandono dei rifiuti, o che i piccoli frammenti prodotti dall'attività ossidativa siano più pericolosi di miliardi di altre particelle presenti nell'ambiente.
Symphony sposta poi l'attenzione sulle problematiche connesse alla produzione e all'impiego di bioplastiche di origine vegetale in termini di impatto ambientale (petrolio ed emissioni di gas serra necessari per la coltivazione delle piante), maggiori costi, difficoltà di trasformazione, impossibilità di riciclo insieme con altre plastiche, confusione tra compostaggio industriale e domestico.
In tema di rispondenza alle norme tecniche internazionali sulla biodegradabilità, afferma che l'industria delle bioplastiche da risorse rinnovabili è impegnata a bloccare la creazione di uno standard europeo, analogo all' ASTM D6954, per le plastiche oxo-biodegradabili, “agendo non nell'interesse dei consumatori, ma perseguendo propri interessi commerciali”; in particolare, si vogliono applicare gli standard sulla compostabilità, più rigidi, anche ai materiali non destinati specificatamente al compostaggio.
Symphony ricorda infine che esiste uno standard CEN sulla oxo-degradazione (TR15351) che definisce il processo, e conclude affermando che “le plastiche oxo-biodegradabili sono bioplastiche”. Affermazione, quest'ultima, che sicuramente non piacerà ai produttori di biopolimeri.
Scarica il documento in inglese con la risposta.
4 febbraio 2010 08:54
I produttori di additivi replicano al Bioplastics Council: “anche le oxo-biodegradabili sono bioplastiche”.
Non si è fatta aspettare la replica dei produttori di additivi oxo-biodegradabili al documento pubblicato nei giorni dal Bioplastics Council, gruppo d'interesse che riunisce i produttori di biopolimeri in seno all'associazione statunitense Society of the Plastics Industry.
La replica arriva dalla britannica Symphony Environmental, la quale afferma che tutte le plastiche nel lungo periodo degradano e biodegradano e che gli additivi oxo-degradabili non fanno che accelerare questo processo, con benefici per l'ambiente qualora i manufatti a fine vita non siano avviati a riciclaggio. Non si tratta quindi di nuovi materiali, ma di miglioramenti di materiali esistenti.
Symphony sottolinea poi che le tesi del gruppo americano sono le stesse propagandate la scorsa estate da European Bioplastics, anche perché alcuni produttori di biopolimeri fanno parte di entrambe le organizzazioni. Tesi per altro confutate – a detta di Symphony – dal Prof. Gerald Scott, professore emerito di Scienza dei Polimeri presso la Aston University e chairman del comitato sulla biodegradabilità delle bioplastiche presso il British Standards Institute.
Lo scienziato britannico non sarebbe d'accordo sul mero effetto di frammentazione operato dagli additivi oxo-biodegradabili, in quanto le formulazioni sarebbero in grado di ridurre il peso molecolare dei polimeri (le normali plastiche di origine petrolchimica) fino a consentire la completa degradazione da parte di funghi e batteri.
Symphony controbatte, tacciandola di non avere fondamenti scientifici, anche la tesi che le plastiche degradabili o biodegradabili incoraggino il 'littering', ovvero l'abbandono dei rifiuti, o che i piccoli frammenti prodotti dall'attività ossidativa siano più pericolosi di miliardi di altre particelle presenti nell'ambiente.
Symphony sposta poi l'attenzione sulle problematiche connesse alla produzione e all'impiego di bioplastiche di origine vegetale in termini di impatto ambientale (petrolio ed emissioni di gas serra necessari per la coltivazione delle piante), maggiori costi, difficoltà di trasformazione, impossibilità di riciclo insieme con altre plastiche, confusione tra compostaggio industriale e domestico.
In tema di rispondenza alle norme tecniche internazionali sulla biodegradabilità, afferma che l'industria delle bioplastiche da risorse rinnovabili è impegnata a bloccare la creazione di uno standard europeo, analogo all' ASTM D6954, per le plastiche oxo-biodegradabili, “agendo non nell'interesse dei consumatori, ma perseguendo propri interessi commerciali”; in particolare, si vogliono applicare gli standard sulla compostabilità, più rigidi, anche ai materiali non destinati specificatamente al compostaggio.
Symphony ricorda infine che esiste uno standard CEN sulla oxo-degradazione (TR15351) che definisce il processo, e conclude affermando che “le plastiche oxo-biodegradabili sono bioplastiche”. Affermazione, quest'ultima, che sicuramente non piacerà ai produttori di biopolimeri.
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