13 giugno 2019 07:18
Sono stati presenti nei giorni scorsi a Roma i risultati del progetto europeo MedSeaLitter, Protocolli specifici per il Mediterraneo per proteggere la biodiversità dall’impatto dei rifiuti, cofinanziato con oltre 2 milioni di euro dal Fondo europeo di sviluppo regionale (Interreg Med).
PERCHÉ UN PROTOCOLLO. Poter utilizzare un protocollo unico di semplice applicazione, ma validato scientificamente, permette di paragonare nel tempo e nello spazio l’evoluzione del fenomeno, e quindi di valutare tempestivamente ed efficacemente i risultati delle misure messe in atto per la riduzione delle plastiche a mare.
La metodologia individuata per il monitoraggio dei rifiuti galleggianti andrà ad aggiornare le linee guida europee per i monitoraggi previsti dalla Marine Strategy, mentre in Italia il protocollo MedSeaLitter verrà utilizzato dalle agenzie regionali per i monitoraggi previsti in attuazione della Direttiva.
Il Mediterraneo è uno dei 25 'biodiversity hotspots' del mondo, ovvero una delle regioni con il maggior numero di specie viventi in tutto il pianeta. È anche un punto cruciale per gran parte delle rotte migratorie degli uccelli paleartici, e nelle sue acque vivono circa 900 specie di pesci e cetacei e circa 400 specie vegetali.
RILEVAMENTI IN MARE E CON DRONI. Nell’ambito del progetto, per testare la metodologia di osservazione dei rifiuti, tra febbraio 2017 a dicembre 2018 sono stati esaminati oltre 20.000 km di transetti di mare, di cui circa 1.600 km con piccole e medie imbarcazioni e quasi 19.000 km con traghetti; sono stati individuati 6.500 oggetti galleggianti tra naturali (tra il 13 e il 25%) e rifiuti dovuti ad attività umane (tra il 75 e l’87%), di cui la maggior parte (tra l’80 e il 90%) composto da polimeri artificiali (plastica), mentre il restante è composto da carta (circa 3%), e poi vetro, metallo e tessuti.
I monitoraggi effettuati tramite drone, ad una quota variabile da 20 a 65 metri sul livello del mare, hanno individuato sottocosta una densità di oggetti che varia da 34 a 40 oggetti ogni chilometro quadro. Gli oggetti galleggianti più frequenti provengono dal settore pesca e da quello legato al cibo: il 23% è costituito da cassette di polistirene espanso, il 16% da bottiglie di plastica, il 15% da frammenti di oggetti non riconoscibili, mentre il 13% dei rifiuti in mare è composto da buste di plastica e l’11% da frammenti di polistirolo.
IMPATTO SULLA FAUNA MARINA. É stato monitorato anche l’impatto sulla fauna marina, che ha rivelato la presenza di oggetti e frammenti plastici nel tratto digestivo di oltre il 65% delle tartarughe Caretta caretta esaminate e nel 50% dei pesci Boga. Lo studio è stato eseguito su oltre 130 esemplari di tartaruga marina Caretta caretta, già decedute, recuperate grazie alle reti di spiaggiamento tra il 2017 e il 2018 in Spagna, Francia, Italia e Grecia. Tra gli oggetti identificabili trovati durante le necropsie ci sono etichette di birra, bastoncini di lecca-lecca, palloncini e involucri di caramelle.
Per i monitoraggi sulle microparticelle ingerite dalle specie ittiche è stato usato come indicatore il pesce Boga (Boops boops). Nel complesso, tra il 2018 e il 2019, sono stati analizzati 750 individui e sono stati trovati oltre mille frammenti di plastica in poco più della metà di questi (51%), con una media presenza tra 1 e 5 frammenti, con un’incidenza variabile a seconda dell’area geografica di analisi.
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