domenica 9 maggio 2021
Se prendiamo per buone (e non abbiamo motivo di dubitarne) le parole di Yavuz Eroglu, il presidente dell'associazione che rappresenta la filiera turca delle materie plastiche (Pagev), boicottaggio e autarchia possono essere un rimedio al caro prezzi (ma - come si dice ai bambini - non fatelo a casa vostra!).
L'associazione aveva lanciato due mesi fa un appello alle aziende trasformatrici di non acquistare plastica se non per stretta necessità e spremere fino all'ultimo le scorte di magazzino, invitando i produttori nazionali a prediligere il mercato interno a scapito delle esportazioni (qui un articolo di Polimerica) per costringere i fornitori a fermare l'ascesa dei prezzi, ritenuta speculativa.
Nei giorni scorsi Ero?lu ha annunciato che la campagna "Stop Buying" ha sortito effetti: mentre in tutta Europa i prezzi delle materie prime non accennano a stabilizzarsi, in Turchia non solo si sono calmierati, ma sono addirittura scesi, in media del 15% (nella tabella qui sotto un dettaglio sui diversi polimeri): considerando un volume trasformato di 600.000 tonnellate al mese, sono rimaste nelle tasche del sistema produttivo nazionale l'equivalente di 180 milioni di dollari che - afferma testualmente - sono stati sottratti al cartello della plastica, paragonato a quello dell'OPEC per il petrolio.
Come ciò sia possibile, in un mercato globale, mi sfugge, ma se diamo credito al presidente di Pagev, il blocco compatto dei trasformatori avviato da metà marzo avrebbe funzionato. In soccorso dei trasformatori turchi i produttori locali e quelli cinesi; questi ultimi si sarebbero inoltre impegnati a calmierare i prezzi anche in futuro, in virtù di nuove capacità produttive che stanno entrando in funzione in Asia.
E adesso? Pagev ha annunciato che continuerà la campagna di boicottaggio fino a giugno: "ce n'est qu'un début", si gridava nelle barricate parigine del '68.
Pubblicato sulla newsletter PoliMoka l'8 maggio 2021