Al Convegno PolieCo sono emerse incertezze e aspetti problematici anche per quelli riutilizzabili.
18 febbraio 2015 06:45
Si parla spesso di sacchetti monouso in plastica - con il corollario di polemiche sulla messa al bando di quelli non compostabili -, più raramente di quelli riutilizzabili più volte, anch’essi consentiti dalla legge entrata in vigore nel 2011.
Ad affrontare questo tema ci ha pensato Polieco, che lunedì scorso ha organizzato un convegno a Milano per fare il punto sulla normativa vigente a livello nazionale e internazionale e sulle criticità sorte nel nostro paese con l’applicazione del dettato legislativo, in merito a spessori, contenuto di riciclato e assoggettamento al contributo ambientale.
Partiamo da quest’ultimo aspetto, caro a PolieCo. Se gli shopper in plastica sono considerati a tutti gli effetti imballaggi - e c’è una sentenza che lo afferma - lo sono per estensione anche quelli riutilizzabili più volte? Polieco preferisce chiamarli borse multiuso, in modo tale da sgombrare il campo da possibili analogie con gli imballaggi riutilizzabili, che talvolta non pagano il CAC (Contributo Ambientale Conai), ma restano in ogni caso fuori dal perimetro PolieCo.
Nel corso del convegno si è ventilata l’ipotesi che questi prodotti siano beni e non imballaggi e che quindi debbano versare il contributo a PolieCo, purché siano prodotti in polietilene. A tale proposito è stata citata, per analogia, una sentenza del 2014 sui bins (contenitori industriali di grande capacità), non qualificati come imballaggi poiché: “per le loro caratteristiche (…) sono stati progettati e fabbricati per resistere e durare a lungo”, quindi “non sono assimilabili a contenitori per l’utilizzo singolo o limitato nel tempo” in quanto “destinati ad un utilizzo prolungato e durevole” e “come ausilio duraturo all’attivita? dell’impresa all’interno del ciclo produttivo delle medesima e non al fine di garantire un idoneo trasporto della merce nel circuito produttore / utilizzatore / consumatore (e passaggi intermedi)”.
Conai non è dello stesso avviso e ritiene che i sacchetti non perdano la loro natura di imballaggi divenendo riutilizzabili e che debbano pertanto essere assoggettati al CAC. Probabilmente sarà una sentenza, non appena si verificherà la prima contestazione, a stabilire con certezza chi deve pagare e a chi.
Non è detto però che ciò accada. La seconda criticità emersa dal convegno è che i sacchetti riutilizzabili oggi sono importati in gran parte dall’estero, Germania e Asia, stante la difficoltà di reperire in Italia il polietilene rigenerato necessario a produrli o per la complessità tecnica nel fabbricarli. Quelli consentiti dalla legge, infatti, devono avere uno spessore compreso tra 60 micron (non alimentari, con maniglia interna) e 200 micron (per alimentari, con maniglia esterna) e contenere una percentuale di plastica rigenerata tra il 10% e il 30%.
Per Walter Regis, presidente di Assorimap (Associazione riciclatori di materie plastiche) sono necessarie filiere corte, chiuse e organizzate per il riciclo delle plastiche, capaci di mettere in contatto chi ha bisogno di riciclato con chi ha disponibilità di materiale da riciclare. Ma non è solo questione di quantità: anche la qualità del materiale riciclato riveste un aspetto cruciale nel determinare il successo del ricircolo virtuoso e per questa ragione sarebbe utile una certificazione ad hoc.
Se la norma italiana è certosina nel definire spessori e percentuali di rigenerato diversi a seconda della tipologia di sacchetto, poco dice sulle altre caratteristiche. Si guarda così con interesse al caso spagnolo, dove esiste una norma tecnica specifica sui sacchetti in polietilene riutilizzabili più volte, che definisce spessori (da 30 a 80 micron) e volumi minimi (10 o 21 litri), prove meccaniche di resistenza, ma anche un numero minimo di utilizzi successivi (15), da valutarsi mediante test di rottura, nonché la loro marchiatura. Norma che non è stata però ratificata a livello europeo in quanto lo spessore minimo di 30 micron non è compatibile con la proposta di modifica della direttiva imballaggi in discussione a Bruxelles (ch parte invece da 50 micron).
Nonostante i numerosi relatori presenti al tavolo, si è usciti dal convegno con più dubbi che certezze, ma questo è un altro corollario di una normativa che - come spesso capita in Italia - difetta di chiarezza almeno quanto di buon senso.
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