Per capire dove si sta muovendo l’industria italiana alle prese con l’emergenza sanitaria da
Covid-19, Randstad Professionals - divisione specializzata in ricerca e selezione di middle, senior e top management di
Randstad - ha condotto un’
indagine su
100 aziende italiane che hanno deciso in questi mesi di
riconvertire in tutto o in parte la produzione per sfuggire alla chiusura o al ridimensionamento delle attività.
“L’emergenza Covid-19 in ambito professionale non ha prodotto solo una forte accelerazione della
digital transformation, dello
smart working e forti richieste legate alla
logistica, ma ha anche dato vita ad interessanti riconversioni produttive – afferma
Maria Pia Sgualdino, Head of di Randstad Professionals -. La nostra indagine rivela che, per la maggioranza dei settori, la riconversione ha rappresentato solo una modalità temporanea per aiutare il sistema sanitario nel picco di emergenza e mantenere continuità operativa. Ma per alcuni settori, in particolare il
tessile e il
chimico, la nuova produzione sta aprendo opportunità di
business stabili nel post Covid-19 attraversi nuovi canali, che aprono anche a occasioni di inserimento professionale”.
Secondo i risultati della ricerca, tra le aziende italiane riconvertite per l’emergenza Covid-19, sei su dieci appartengono al comparto
tessile e fashion (rispettivamente 33% e 26%), settori che disponevano già di macchinari, forza lavoro specializzata e materie prime per produrre dispositivi di sicurezza individuale, come mascherine e camici, di cui è cresciuta esponenzialmente la domanda. Ma si segnalano anche imprese del
settore plastico (7%),
chimico (7%), della cosmetica (6%) e
manifattura (6%), produttori di
medical devices (5%) e dell’
automotive (4%). In misura minore anche realtà della stampa, packaging e beverage,
Non tutte le aziende hanno però in programma di
confermare la conversione finita l'emergenza, con profonde differenze tra i settori, per le specificità delle singole produzioni. Sono pronti a mantenere le decisioni prese i
due terzi delle imprese del
settore plastico, soprattutto produttori di lastre per divisori, e altrettanti del settore
chimico, che nell’emergenza hanno prodotto gel disinfettanti a base alcolica per il settore ospedaliero, ed ora intendono affrontare anche la vendita diretta ai consumatori. In virtù di una domanda che si preannuncia ancora sostenuta, manterrà la produzione attiva di mascherine anche la metà delle aziende del settore
tessile, che ora puntano a realizzare joint venture con aziende della moda, e la quasi totalità delle aziende del settore dello stampaggio, che hanno attivato nuovi canali. Saranno principalmente
riconversioni temporanee, invece, quelle delle aziende del fashion, automotive, cosmetica e dispositivi medicali.
L’indagine rileva inoltre che, se le
multinazionali hanno effettuato quasi sempre riconversioni parziali, per le
PMI l’introduzione di nuovi prodotti ha significato spesso una vera e propria rivoluzione dell’attività, in grado di assicurare continuità alla produzione che altrimenti si sarebbe interrotta.
Lo studio ha voluto indagare anche sulle
figure professionali necessarie alle aziende riconvertite: nel settore tessile, in sofferenza economica prima dell’emergenza, sono oggi richieste nuove figure professionali in ambito
operations,
produzione e
vendite: soprattutto responsabili di produzione ed export area manager. Stanno assumendo personale a supporto della riconversione i settori chimico e cosmetico, che per ampliare la produzione di gel igienizzanti e dispositivi, ricercano - tra gli altri -
business unit director e
R&D manager. E si segnalano opportunità nel settore grafico e stampa, che sta ampliando i canali distributivi dei nuovi prodotti verso GDO e ospedali, ricercando
key account manager e business unit manager.
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