23 maggio 2019 12:46
Dopo lo studio dell’Università di Plymouth sulla effettiva degradazione dei sacchetti per la spesa (leggi articolo), che ha creato allarme e suscitato qualche polemica sulla metodologia utilizzata dai ricercatori, un’altra tempesta mediatica si profila sui bioshopper e questa volta arriva dall’Italia.
Anche in questo caso - come per lo studio inglese - occorre premettere che la biodegradabilità e compostabilità dei manufatti in bioplastica è validata in condizioni controllate di compostaggio industriale e che sacchetti o altri prodotti non devono mai essere abbandonati nell'ambiente, poiché questi materiali non sono stati pensati per degradarsi se dispersi in mare o sul terreno. E, per evitare franitendimenti, va segnalato che lo studio non riguarda la qualità del compost che si ottiene dalla completa biodegradazione degli shopper.
Detto ciò, una ricerca condotta da un team di biologi e chimici dell’Università di Pisa e pubblicata sulla rivista scientifica “Ecological Indicators” (abstract) ha esaminato l’impatto sulla germinazione delle piante delle più comuni buste di plastica per la spesa, sia i tradizionali shopper non-biodegradabili realizzati con polietilene (oggi vietati in Italia sotto certi spessori), sia quelli biodegradabili e compostabili, prodotti con una miscela di polimeri a base di amido, conformi alla normativa italiana.
I ricercatori hanno esaminato gli effetti fitotossici del lisciviato, ossia della soluzione acquosa che si forma in seguito all’esposizione delle buste agli agenti atmosferici e alle precipitazioni. Da quanto è emerso - affermano in una nota i ricercatori - entrambe le tipologie di sacchetti rilasciano in acqua sostanze chimiche fitotossiche che interferiscono nella germinazione dei semi, con la differenza che i lisciviati da buste non-biodegradabili agiscono prevalentemente sulla parte aerea delle piante, mentre quelli delle buste compostabili sulla radice.
“Nella maggior parte degli studi condotti finora sull’impatto della plastica sull’ambiente, gli effetti delle macro-plastiche sulle piante superiori sono stati ignorati – spiega il professore Claudio Lardicci dell’Ateneo pisano – la nostra ricerca ha invece dimostrato che la dispersione delle buste, sia non-biodegradabili che compostabili, nell’ambiente può rappresentare una seria minaccia, dato che anche una semplice pioggia può causare la dispersione di sostanze fitotossiche nel terreno. Da qui l’importanza di informare adeguatamente sulla necessità di smaltire correttamente questi materiali, considerato anche che la produzione di buste compostabili è destinata a crescere in futuro e di conseguenza anche il rischio abbandonarle nell’ambiente”.
Il gruppo di lavoro che ha realizzato lo studio è composto da sei fra docenti, ricercatori e studenti dell’Università di Pisa. Il professore Claudio Lardicci e la dottoressa Elena Balestri del dipartimento di Biologia si occupano di conservazione, gestione e recupero degli ecosistemi costieri. Nel corso delle loro ricerche hanno rilevato la presenza di buste negli ambienti naturali, specialmente spiagge e fondali marini. Da qui lo spunto per approfondire la questione, vista la mancanza di studi scientifici sugli effetti delle macroplastiche sulle piante.
Fanno parte del team anche la professoressa Anna Raspolli Galletti e la dottoressa Sara Fulignati del dipartimento di Chimica e Industriale, scienziate impegnate in progetti di ricerca sulla “green chemistry” e sui temi della ecosostenibilà. Lo studio è stato inoltre parte del progetto di ricerca di dottorato in Biologia della dottoressa Virginia Menicagli e della tesi di laurea in Biologia Marina della dottoressa Viviana Ligorini.
Aggiornamento [23 maggio ore 18.30]: Novamont ha rilasciato una nota dove critica la metodologia utilizzata dai ricercatori - leggi articolo
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