16 dicembre 2015 08:26
Una fotografia della gestione dei rifiuti nel nostro paese viene scattata ogni anno dal rapporto “L’Italia del Riciclo” di FISE Unire, l’Associazione di Confindustria che rappresenta le aziende del recupero rifiuti, e dalla Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile. Si tratta di dati provenienti da diverse fonti e aggregati per poter avere un quadro d’insieme del comparto.
L’edizione 2015 del Rapporto, presentata ieri a Roma, analizza i dati relativi all’anno 2014, considerando i diversi materiali e settori applicativi.
RISULTATI NEL COMPLESSO POSITIVI. Il riciclo dei rifiuti da imballaggio è cresciuto del 2% in termini assoluti, raggiungendo i 7,8 milioni di tonnellate, contro i 7,6 milioni del 2013 e i 7,5 milioni del 2012. La quantità di frazione organica raccolta in modo differenziato è salita del 9,5% a 5,7 milioni di tonnellate, mentre i RAEE (rifiuti elettrici ed elettronici) hanno mostrato un incremento del 3% nella raccolta. Prossimo agli obiettivi europei anche il tasso di reimpiego e riciclo dei veicoli fuori uso,che raggiunge l’80,3% (ma è il recupero energetico a mancare l’obiettivo). Mostrano vitalità anche il riciclo degli pneumatici con 129.000 tonnellate recuperate e quello dei rifiuti tessili, salito del 12% a 124.000 ton.
IMPORT-EXPORT. A dispetto di quanto comunemente si pensa, cioè che l’Italia si liberi dei suoi rifiuti spedendoli fuori dai confini nazionali, l’anno scorso sono stati importati nel nostro paese 5,9 milioni di tonnellate di materiali post-consumo, in gran parte costituiti da rottami ferrosi (la plastica incide per solo il 2%), a fronte di esportazioni per 3,8 milioni di tonnellate (14% costituite da plastiche). Il paradosso - segnala il Rapporto - è che 450.000 tonnellate di rifiuti importati (circa l’8% di quelli trasportati nel nostro Paese per essere trattati) equivalgono, per volume e tipologia, a rifiuti italiani spediti all’estero, con costi per noi spesso esorbitanti.
Va anche detto che esiste una discrepanza tra Nord e Sud del paese: l’import riguarda quasi esclusivamente imprese ed enti del Nord-Italia, che ricevono circa il 96% della quantità in entrata dall’estero, mentre l’export è un fenomeno che interessa anche il Centro-Sud, da dove parte quasi il 40% dei rifiuti.
SOPRATTUTTO PERICOLOSI. Per quanto riguarda l’export, il 24% del totale in uscita è formato da plastica e carta, ma la maggior parte dei rifiuti spediti all’estero, intorno al 60%, non rientra in nessuna delle tradizionali filiere merceologiche e si caratterizza per un’alta incidenza di pericolosi. I rifiuti importati vengono avviati a recupero di materia pressoché nella totalità dei casi, mentre quelli spediti all’estero risultano destinati a operazioni di recupero per il 70%.
Considerando l’interscambio di rifiuti da imballaggio in plastica emerge che l’import si attesta a quasi 60.000 tonnellate, mentre l’esportazione è pari a 135.000 tonnellate. Se questo volume in uscita venisse intercettato a favore degli impianti italiani che ricevono quella stessa categoria di rifiuto dall’estero, potrebbe sostituire integralmente le importazioni (vedi tabella).
Import ed export di rifiuti: quantità in tonnellate e tasso di sostituzione potenziale dell’import, per categoria di rifiuto, con focus sulle più rilevanti (t. e. %) - 2014
EXPORT PER RECUPERO ENERGETICO. La buona notizia - dato che si tratta di materiali che in molti casi hanno elevato valore intrinseco - è che tra il 2009 e il 2014, l’import di rifiuti è cresciuto del 60%, mentre l’export è aumentato solo del 10%. La cattiva notizia, per il nostro settore, è che il volume di plastiche esportate nello stesso periodo è cresciuto del 120%. Una delle ragioni è che nel resto Europa - dove finisce la maggior parte dell’export di rifiuti - la pratica del recupero energetico è diffusa e legno, PFU e plastiche sono apprezzati per il loro elevato potere calorifico. Non è un caso quindi che il 22% delle plastiche, il 62% del legno e il 43% dei PFU esportati siano destinati ai termovalorizzatori per la produzione di energia, impianti che in Italia non vogliamo.
L'ITALIA RESTA COMPETITIVA. “Il Rapporto evidenzia come il riciclo in Italia sia riuscito a resistere alla recessione prolungata restando competitivo - commenta Anselmo Calò, Presidente di UNIRE - Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi sui cambiamenti climatici appena concordati a Parigi, il riciclo di materia può svolgere una funzione fondamentale dovuta al risparmio di energia nella produzione di materie prime e quindi alle emissioni di CO2 evitate”. Obiettivo che si può raggiungere scoraggiando lo smaltimento in discarica e migliorando la qualità dei materiali raccolti, nonché attraverso una semplificazione del contesto normativo.
“Sia pure in modo non omogeneo, perché permangono zone di arretratezza in alcune Regioni, il sistema del riciclo dei rifiuti in Italia è ormai decollato con numeri di livello europeo - aggiunge Edo Ronchi, Presidente della Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile -. Ora però, con le modifiche proposte dalla Commissione europea a tutte le Direttive sui rifiuti e, a fronte dei nuovi obiettivi di riciclo più impegnativi al 2025 e al 2030, sarà necessario recuperare anche le zone ancora arretrate, aumentare e migliorare le raccolte differenziate, procedere a rafforzare industrializzazione e innovazione nel settore”.
MENO BUROCRAZIA. Per migliorare ulteriormente le prestazioni dell’industria del riciclo è necessario ridurre i costi amministrativi e burocratici e combattere le illegalità in modo efficace. Come evidenzia il Rapporto, bisogna facilitare l’applicazione delle norme in maniera omogenea sul territorio nazionale, sostenere le imprese per migliorare l’accesso al credito ed ai fondi europei, alleggerire gli oneri burocratici del settore, semplificare gli iter autorizzativi ed emanare i regolamenti e le norme tecniche mancanti, tenendo conto anche delle nuove proposte di modifiche della Commissione europea.
ECONOMIA CIRCOLARE. Una spinta importante per lo sviluppo del riciclo - si legge nel documento - arriverà dal Pacchetto sulla circular economy recentemente emanato dalla Commissione europea, che - secondo Bruxelles - porterà ad un risparmio di 600 miliardi di euro entro il 2030, insieme alla creazione di 580.000 posti di lavoro e alla riduzione delle emissioni di carbonio per 450 milioni di tonnellate all’anno.
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