Coem ferma, Vinyls Italia vicina al fallimento. Non resta più nessuno a produrre PVC nel nostro paese.
8 febbraio 2013 14:20
Il tribunale di Venezia si appresta a staccare la spina a Vinyls Italia: la decisione è attesa entro fine mese, vista la mancanza di potenziali acquirenti in grado di far ripartire l'attività produttiva. L'ultima speranza è affidata a un oleificio interessato ai terreni e -forse - ad assumere parte dei lavoratori.
Poi si smonteranno gli impianti per rivenderne il "ferro" o spedirà quel che resta della tecnologia in un paese emergente affamato di materie prime e con pochi soldi a spendere.
La malattia che ha portato Vinyls Italia a deperire, prima della sua fase terminale ha avuto un lungo decorso, forse medici sbagliati; ma non sono mancati curiosi e faccendieri accorsi al letto del malato. Di possibili acquirenti, nel corso degli anni, se ne sono avvicendati più d'uno, ma nessuno veramente interessato a riprendere la produzione: Sartor, Ramco, Gita e, quando era ormai chiaro che non ci sarebbe stato più niente da fare, anche un misterioso gruppo brasiliano. Tutto inutile, la storia era segnata, come quella dei grandi poli petrolchimici italiani, che piano piano vanno a spegnersi tutti nell'indifferenza di una classe politica che sapeva e sa (anche se oggi non può più) spendere per costruire cattedrali nel deserto e infrastrutture faraoniche, ma non ha risorse né capacità per gestirle e, meno che mai, per salvarle.
L'inizio della fine risale al 2008 quando Ineos decide di abbandonare il PVC italiano, non riuscendo a completare la filiera chimica del cloro, la cui frazione a monte era saldamente sotto il controllo del gruppo ENI. Nei primi mesi del 2009 subentra il gruppo veneto Sartor, che qualche settimana più tardi aver porta i libri in tribunale. Nel maggio dello stesso anno viene dichiarata dal tribunale fallimentare di Venezia l'amministrazione straordinaria e nominati i tre commissari, poi rimasti in due. Fermo della produzione, cassa integrazione per i lavoratori di Porto Marghera e Porto Torres, ricerca di nuovi acquirenti in grado di rilevare e rilanciare la produzione. Tutto inutile.
Dei tre siti, solo quello di Ravenna, il più piccolo e meno integrato, sembrava potersi salvare. Ma anche questo impianto oggi è fermo. Industrie Generali, che nel 2011 aveva rilevato dai commissari l'impianto PVC attraverso la controllata Coem, è risucita a produrre polimero per poco più di un mese, poi ha dovuto fermarsi per mancanza di materia prima. Il cloruro di vinile monomero doveva essere fornito da Kem One (nata dallo scorporo delle attività viniliche di Arkema, cedute al gruppo Klesch), con la quale è in corso una complessa vertenza giudiziaria per fatture non pagate e accordi non rispettati. Notizia di questi giorni, la messa in sicurezza degli impianti, con lo svuotamento dei serbatoi. Ora la proprietà cerca acquirenti, ma l'industria del PVC in Europa non naviga in buone acque.
Il risultato è che Italia non si produce più PVC, ma se ne consuma tanto: ogni anno circa 800.000 tonnellate. Si tratta infatti di una delle più diffuse materie plastiche, utilizzata in numerose applicazioni, dai tubi alle finestre ad alto risparmio energetico, dai pavimenti e guaine alle sacche medicali e imballaggi. Le aziende che trasformano questo polimero, secondo i dati di uno studio elaborato da PVC Forum Italia e Plastic Consult, nel 2011 erano un migliaio, con oltre 40mila addetti e un fatturato intorno ai 3,5 miliardi di euro.
Queste aziende vanno avanti anche senza un produttore locale, ma devono approvvigionarsi dall'estero, con tutti i costi e i rischi che ne conseguono. E il sistema paese diventa così ancora più fragile...Goodbye PVC.
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