8 marzo 2021 08:54
Dopo l'annuncio dell'asta per gli assets dell'azienda che aveva contribuito a fondare (
leggi articolo), il fondatore ed ex CEO di
Bio-on,
Marco Astorri (nella foto), ha accettato di rilasciare un'intervista a Polimerica, per parlare non tanto del procedimento penale nel quale, a quasi due anni di distanza, è tuttora indagato per i reati di False comunicazioni sociali e Manipolazione del mercato, quanto della
complessa vicenda industriale - mai del tutto chiarita -, terminata nell'autunno del 2019 con il fallimento della società a seguito della pubblicazione di un report ("Una Parmalat a Bologna?") del fondo statunitense
Quintessential Capital Management -QCM (
leggi articolo) e delle indagini che hanno portato all'operazione Plastic Bubbles.
Astorri, qual è in questo momento la sua posizione giudiziaria? É stato poi processato per False comunicazioni sociali e Manipolazione del mercato?
No, dal 23 ottobre 2019 la mia posizione non è cambiata: sono indagato, in quanto la Procura della Repubblica di Bologna non ha ancora deciso se chiedere l’archiviazione del procedimento a mio carico o di comunicare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, che solitamente prelude a una richiesta di rinvio a giudizio.
A quasi due anni di distanza dall’attacco di QCM, sono ancora in una sorta di limbo, che mi limita in ogni attività professionale.
Bio-on è stata messa all'asta: a maggio, dopo l'udienza, sapremo se avrà ancora un futuro. Qual è il suo stato d'animo?
Può immaginarlo. Bio-on rappresenta il frutto di dodici anni della mia vita, vissuti lavorando senza sosta, dopo che io e il mio socio siamo partiti investendo un capitale di circa 400 mila euro in una ex conigliera. Tuttavia, avendo sin da subito riposto grande fiducia nell’operato del Tribunale di Bologna e nei professionisti da esso individuati per occuparsi della procedura che riguarda la società, ho accolto con estrema soddisfazione la valutazione della curatela, pari a circa 95 milioni di euro.
Il fatto che soggetti terzi, che operano sotto la stretta vigilanza dell’autorità giudiziaria, abbiano attribuito, in sede fallimentare, un valore così elevato agli elementi che costituiscono il core business di Bio-on significa infatti che chi aveva definito la società un 'castello di carte' si sbagliava. O, come ho sempre sostenuto, presentando già nel luglio del 2019 un esposto alla Procura della Repubblica di Bologna, era in malafede.
L’attacco speculativo subìto da Bio-On, dichiaratamente mirato a ottenere un profitto dal crollo della sua quotazione, prescinde dall’indagine in corso, avendo messo in dubbio la stessa validità della tecnologia di processo, o almeno la sua concreta fattibilità e la sostenibilità economica.
Chi ci attaccò sostenne che i contratti di natura commerciale sottoscritti con importanti produttori, anche internazionali, non avessero mai generato ricavi o non esistessero del tutto; ha equiparato le valutazioni - per loro natura opinabili - di asset immateriali ai casi di truffe compiute attraverso la sottrazione di ingenti flussi finanziari.
Denominatore comune di tutte queste accuse sarebbe stata la necessità di coprire l’assenza di valore della nostra tecnologia.
Oggi mi chiedo come possano essere giustificate queste accuse alla luce di una valutazione di 95 milioni, frutto del certosino lavoro contabile dei curatori. Eppure quelle accuse, che a tutt’oggi non solo non hanno trovato dimostrazione, ma sono di fatto smentite da quanto accertato dalla curatela, hanno di fatto condannato a morte l’azienda, oggi dichiarata fallita.
Fino al giorno prima eravate un 'Unicorno', con quotazioni in borsa stratosferiche, il giorno dopo nella polvere...
Ho una mia opinione sul punto, che nel rispetto del lavoro della magistratura mi riservo di esprimere all’esito della conclusione del procedimento giudiziario che mi vede oggi indagato. Certo è che noi credevamo - e io, personalmente, credo ancora - in un sogno: quello di produrre bioplastiche 'pulite', biodegradabili naturalmente, ottenute da scarti agricoli senza uso di antibiotici in fermentazione, né solventi chimici e con costi sostenibili. Non ci sono altri produttori di biopolimeri che licenziano le loro tecnologie o agiscono come IP company: noi avevamo puntato tutto sulla tecnologia affinché la produzione su larga scala potesse crescere a livello globale.
Eppure non sono mancate critiche anche sulla tecnologia, sui costi e sull'effettiva qualità del prodotto. Cosa risponde?
Le critiche sono arrivate da chi non conosceva il processo né la qualità del PHB (
poli-idrossi-butirrato, biopolimero biobased e biodegradabile NdR) e del PHBVV (
poli-idrossi-butirrato-valerato-valerato NdR) che siamo riusciti ad ottenere prima nell'impianto pilota, poi in quello produttivo, da mille tonnellate annue, di Castel San Pietro Terme (
qui una descrizione). I dettagli tecnologici erano invece a conoscenza delle aziende con cui avevamo stabilito accordi e joint-venture, che sono ancora in essere. É tutto riportato nei data sheet dei materiali di Bio-on, alcuni dei quali ritengo abbiano riscritto la storia del PHA.
L'impianto dimostrativo era entrato in funzione a regime?
L’impianto era entrato in funzione e lo è rimasto fino a novembre 2019, arrivando ad una capacità produttiva, per quanto a mia conoscenza, di circa il 40% di quella totale. Quando ero ancora presente ricordo che stavamo producendo diversi gradi con granulometrie ed essicazioni specifiche per l'utilizzo nell'industria cosmetica, che non consentiva di produrre più speditamente.
Sono stati al tempo criticati anche gli annunci a raffica di accordi commerciali o partnership industriali, che sembravano rivoltI soprattutto al mercato finanziario. Non avete esagerato?
Eravamo visti con vivo interesse da molte aziende che cercavano alternative green alle loro produzioni, con le quali abbiamo avviato progetti di sviluppo. Essendo quotati all'AIM avevamo l'obbligo di comunicare tempestivamente al mercato tutte le operazioni societarie.
Peraltro, nessun organismo di controllo ha mai sollevato alcun dubbio sulla nostra attività. Del resto, gli scienziati dei nostri centri di ricerca erano molto bravi e produttivi e io investivo volentieri per creare nuove applicazioni. Oggi questo è un grande valore per la società.
Non vi siete preoccupati quando le azioni della società hanno incominciato a crescere in modo anomalo rispetto ai risultati finanziari? Dai 5 euro della quotazione nel 2014 a 26 euro dopo appena un anno, fino ad arrivare al miliardo di capitalizzazione nel 2018, per poi perdere l'80% in tre mesi, dopo la pubblicazione del rapporto QCM.
É stato tutto molto veloce, ma noi credevamo nell'azienda e ci occupavamo in primo luogo degli aspetti industriali. Quanto all’incremento di valore in borsa, lo ritenevamo coerente con lo svilupparsi dell’onda verde.
Va anche detto che Bio-on era - ed è tuttora - una Intellectual Property Company il cui valore è costituito prevalentemente da un patrimonio immateriale (brevetti, marchi, know how) e il cui modello di business è focalizzato sui ricavi derivanti dalla concessione di licenze, sia in fase produttiva che commerciale. Il valore degli asset immateriali iscritti nei bilanci e il sentiment del mercato sulle attese dei ricavi e degli incrementi di valore sono per definizione incerti.
Al momento vale più l'hardware o il software : l'acciaio dei reattori o i brevetti?
Entrambi, credo: c'è tanta tecnologia nei due 'treni' fermentativi, che quando abbiamo commissionato nel 2017 erano tra i più grandi al mondo per questo tipo di processo, ognuno con capacità finale di 100.000 litri, sviluppati sulla base anche di tecnologica proprietaria, frutto di dieci anni di lavoro.
E' vero che i bioreattori potrebbero essere convertiti per produrre vaccino? Attività forse più redditizia delle bioplastiche in questo momento...
Non conosco la tecnologia che serve alla produzione dei vaccini, ma i fermentatori di Castel San Pietro Terme sono tecnologicamente molto avanzati, oltre che molto capienti, e dotati di un sistema di sterilizzazione molto efficace. Mi piace pensare che la loro polifunzionalità sia la dimostrazione della nostra lungimiranza nel volerli realizzare in conformità alle più avanzate tecnologie disponibili sul mercato.
Non ha proprio nulla da rimproverarsi?
Forse, l’eccessiva fiducia in alcuni dei miei consulenti. Qualcuno ha criticato la decisione di quotarci così presto in Borsa (al mercato AIM di Borsa Italiana), ma era una scelta motivata dalla necessità di crescere e di costruire anche il primo impianto produttivo. A noi parve la strada migliore per restare indipendenti, visto che le uniche alternative che ci erano state proposte consistevano nel far entrare nel capitale sociale un fondo di investimenti o cedere quote a qualche multinazionale della chimica.
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