9 aprile 2025 09:00
I dazi imposti dall'amministrazione Trump all'Unione europea, fissati in modo draconiano al 20%, stanno scombussolando i mercati finanziari, ma avranno pesanti ripercussioni anche sul fronte industriale.
E, dato che l'Italia resta un paese a forte vocazione industriale, le tariffe rischiano di colpire pesantemente le nostre esportazioni in Nord America.
Per capire quale impatto potrà avere la guerra commerciale sulla costruzione di macchine e impianti per la trasformazione di materie plastiche e gomma, abbiamo sentito Mario Maggiani, direttore dell'associazione italiana di settore Amaplast (nella foto).
Come hanno preso i vostri associati la notizia dei dazi al 20% su tutte le importazioni negli USA?
Nel complesso male, anche se molto dipende dalla quota di fatturato oltreoceano. C'è chi rischia di essere più colpito e chi di fatto non lo sarà affatto.
Nel complesso, quanto valgono le esportazioni di macchinari e stampi made in Italy verso gli Stati Uniti?
Gli Stati Uniti sono la seconda destinazione dell'export settoriale italiano, dopo la Germania. Stiamo parlando di quasi il 10% delle esportazioni totali, ovvero 350 milioni di euro, non pochi quindi. Le principali tecnologie sono l'estrusione con circa 52 milioni di euro, gli stampi con altri 50 milioni, il soffiaggio incide per quasi 23 milioni, senza contare le parti e i componenti che valgono, da soli, 80 milioni di euro.
Una bella cifra. Quali potrebbero essere gli effetti dei dazi sulle vendite nel mercato americano?
Insieme alle altre tre categorie che costituiscono la Federazione Confindustria Macchine (Acimac, Acimall e Ucima), dieci giorni fa abbiamo condotto un'indagine proprio per capire l'impatto che potrebbero avere i dazi sulle vendite oltreoceano.
La metà di chi ha risposto al sondaggio si aspetta un calo delle vendite superiore al 5%, ma un quarto teme una contrazione tra il 5 e il 10 percento e il 16% degli intervistati addirittura una flessione pari o superiore al 20%.
Ci sono nostri associati che stanno già sperimentando cancellazioni di ordini o il blocco repentino di trattative in corso, anche in fase avanzata, tanto che Amaplast sta fornendo alle aziende suggerimenti a livello legale per affrontare la situazione corrente e premunirsi contrattualmente contro l'imposizione di tariffe doganali.
In un mondo che sembrava andare verso una sempre maggiore globalizzazione e apertura dei mercati è una situazione mai sperimentata prima, a cui i nostri imprenditori non erano preparati.
A spanne, quanto potrebbe costare la nuova politica commerciale USA ai costruttori italiani del settore?
La risposta non è facile, per una serie di motivi, legati anche alla dinamica tra domanda e offerta. Considerando che sono pochi i fornitori nordamericani di macchine e stampi per la plastica e gomma, i trasformatori devono per forza rivolgersi ai costruttori europei e asiatici per i propri investimenti. Bisogna inoltre capire se le nostre aziende riusciranno a diversificare i mercati di sbocco e sostituire in parte le vendite su quello statunitense, anche se il cambio non potrà avvenire in tempi brevi.
A grandi linee, nel breve periodo, i dazi potrebbero costarci tra i 50 e i 60 milioni di euro l'anno.
C'è sempre la speranza che si possa arrivare a un accordo più favorevole, magari con dazi al 10 e non al 20 percento. Credo che bisognerà attendere ancora un po' per capire le vere intenzioni dell'amministrazione americana.
I costruttori sono in grado di internalizzare le tariffe, evitando così aumenti dei prezzi?
No, non credo. La concorrenza internazionale ha già compresso i margini e non ci sono più molti spazi di manovra. Certamente non con tariffe al 20%.
C'è il rischio di una delocalizzazione negli Stati Uniti di aziende italiane?
Non nel nostro settore, dove le aziende non sono così grandi e strutturate da poter investire in nuove fabbriche oltreoceano, soprattutto nel caso di macchinari e impianti, mentre potrebbe essere più facile nel caso di attrezzature ausiliarie e stampi. È difficile pensare che un costruttore di impianti di estrusione film costruisca un sito produttivo in Texas o nel Connecticut per non perdere 4 o 5 ordini l'anno sul mercato americano. È senz'altro più semplice individuare nuovi mercati nella regione, per esempio Messico o Brasile, e continuare a produrre in Italia.
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