11 giugno 2024 08:50
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Siete convinti che in Cina si costruiscano macchinari e impianti a basso costo con tecnologie obsolete sfruttando una forza lavoro abbondante e poco qualificata?
Forse è il momento di fare un salto a Shanghai, cuore pulsante dell'industria cinese. Noi siamo stati nella vicina Ningbo per visitare cinque stabilimenti del costruttore cinese di presse a iniezione Haitian. E quello che abbiamo visto sfata i luoghi comuni sull'industria cinese.
Incominciamo dal nome: Haitian non c'entra nulla con l'isola caraibica, ma è la combinazione di due ideogrammi che significano mare e cielo. Non è una delle tante industrie sorte come funghi nel boom industriale del terzo millennio, ma risale al 1966, fondata a Ningbo da Zhang Jinzhang, capostipite della famiglia che ancora oggi controlla l'azienda. La prima pressa ha visto la luce nel 1973 per il settore delle calzature e, alla fine degli anni '80 del secolo scorso, sono iniziate le esportazioni fuori dalla Cina. Insomma, c'è una storia dietro il marchio, non dissimile da quella di alcuni costruttori di presse italiani ed europei.
Oggi il gruppo Haitian è quotato in borsa (ma solo una quota di minoranza è stata collocata, come garanzia di trasparenza verso il mercato), fattura 1,8 miliardi di dollari, per il 40% all'estero, e vende ogni anno poco meno di 40mila presse a iniezione da 40 a 8.800 tonnellate di forza di chiusura, sfornate da quindici stabilimenti che si estendono su 1,4 milioni di metri quadrati.
Quattro di questi impianti li abbiamo visitati (più un quinto dedicato alle presse per metalli). Grandi spazi suddivisi da larghe corsie, ordine e pulizia, lavoratori concentrati e quasi persi in grandi hall dove si allineano componenti e assemblati pronti per il montaggio. L'idea è quella di fabbriche ben organizzate, che non hanno dovuto subire riorganizzazioni di layout dovute ad aumenti di capacità non accompagnati da ampliamenti strutturali. Semplicemente - ci sembra di capire - se deve aumentare la produzione, Haitian costruisce un nuovo reparto; lo spazio in Cina non sembra mancare.
Questo approccio è ben visibile nello stabilimento numero 12 (la numerazione è cronologica) dove si costruiscono le grandi macchine a due piani e dove è stata anche assemblata la pressa da 8.800 tonnellate consegnata alla fine dell'anno scorso a un trasformatore francese (leggi articolo). E dove abbiamo trovato, in fase di costruzione, una macchina da 2.200 tonnellate destinata a un cliente italiano. Da questa fabbrica possono uscire fino a 300 presse al mese, a partire da una forza di chiusura di 450 tonnellate.
Ma lo stabilimento che più colpisce il visitatore occidentale, soprattutto se carico di pregiudizi, è il numero 10, trasformato in una smart factory, integrato e ad alta automazione, capace di sfornare fino a 800 presse Mars al mese, grazie a cinque catene di montaggio in linea alimentate da robot da trasporto terrestre e linee aeree che collegano ogni punto dell'enorme reparto. Una fabbrica in continuo sviluppo tecnologico, laboratorio di automazione avanzata che servirà da modello per aggiornare progressivamente anche gli altri impianti di Haitian, forse anche quello in costruzione in Serbia, che dovrebbe entrare in funzione l'anno prossimo.
Qui i robot sono presenti ovunque: nel magazzino automatico e a fianco degli operai, anche in una fase molto delicata dell'assemblaggio come l'inserimento delle colonne nel gruppo di chiusura, eseguita da una coppia di robot antropomorfi a sei assi; operazione che se non viene eseguita con estrema precisione rischia di danneggiare le boccole. A questa fabbrica abbiamo dedicato un articolo particolareggiato (leggi).
Un paragrafo a parte va dedicato alla gestione del lavoro, basata molto sulla meritocrazia, premiando chi è più produttivo o semplicemente diligente e quindi in lizza per avere una promozione. Va anche detto che l'azienda fornisce ai lavoratori appartamenti in moderni condomini costruiti nei pressi delle fabbriche, fornisce servizi e - se serve - anche l'automobile, il tutto a prezzi calmierati. Visione forse paternalistica vista dalla vecchia Europa, ma non certo sgradita in una regione del paese dove i costi delle case sono proibitivi per un lavoratore.
Nel giro degli stabilimenti ero accompagnato da un gruppo di trasformatori italiani, che il distributore Haitian MMI Italy porta ogni anno - una ventina per volta - a visitare le fabbriche di Ningbo. "É ormai passato il concetto che le nostre macchine sono affidabili e tecnologicamente in linea con quelle della concorrenza europea - spiega il responsabile dell'azienda italiana, Davide Bonfadini (intervista in questo VIDEO) -. Portando i clienti a vedere gli impianti mostriamo loro come vengono costruite e su questo fronte possiamo sentirci, senza tema di smentita, all'avanguardia nel settore".
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