18 luglio 2017 08:04
Secondo l’associazione europea dei riciclatori di materie plastiche, Plastic Recyclers Europe (PRE), dal 2011 ad oggi la resa media nella rigenerazione del PET nel Vecchio continente è scesa di cinque punti, dal 73 al 68 percento sul materiale in entrata, con conseguenti maggiori costi per le aziende del settore, che si trovano a dover smaltire un maggiore volume di scarti per garantire una buona qualità del materiale rigenerato.
Le ragioni, secondo l’associazione di settore, sono diverse e concomitanti. In primo luogo, le bottiglie si assottigliano sempre più e ciò comporta, da un lato, un incremento del tenore di umidità nelle balle di rifiuti in ingresso alle aziende di riciclo e, dall’altro, che scaglie più sottili vengano scartate in fase di processo. Si tratta di un paradosso dell’economia circolare, che spingendo verso la riduzione di materiale può causare effetti negativi sulla gestione del fine vita.
Un secondo fattore riguarda la crescita dell’utilizzo di PET nel settore dell’imballaggio, che non riguarda più solo le bottiglie, rendendo più complessa la gestione dei rifiuti post-consumo. PRE stima che attualmente il 18% del PET da riciclare provenga da applicazioni non-bottle, con un trend crescente previsto nei prossimi anni.
Infine, i sistemi di raccolta - a monte del riciclo - non si sono adattati ai cambiamenti dei flussi dei rifiuti PET: bottiglie non trasparenti e vassoi hanno raggiunto quote significative nelle balle di PET colorato, rappresentando un quinto del totale in paesi come la Francia.
Secondo l’associazione dei riciclatori, occorre un impegno comune per migliorare la qualità dei rifiuti che giungono agli impianti di rigenerazione, partendo dall’eco-design degli imballaggi fino ad arrivare ai sistemi di raccolta, chiamati ad aggiornare i loro standard di selezione per garantire l’elevata qualità del PET grado bottiglia trasparente, anche separando il flusso di queste da quello dei contenitori opachi e delle vaschette, che dovrebbero seguire percorsi diversificati.
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