2 luglio 2019 16:12
C’è una sorta di reticenza a parlare di biodegradabilità in mare di manufatti in plastica, nella fattispecie in bioplastica: il timore che possa diventare una sorta di alibi alla dispersione incontrollata in ambiente, incentivando comportamenti diseducativi tra i consumatori.
Il tema è anche complesso sotto il profilo scientifico e non ancora pienamente normato come la compostabilità in suolo, poiché l’ecosistema marino presenta condizioni estremamente variabili e difficilmente riconducibili a modelli. Tanto che i risultati degli studi scientifici presentano una significativa variabilità in funzione dell’ecosistema.
NON UN ALIBI PER INQUINARE. In questo contesto, la biodegradabilità in mare deve essere vista non come una soluzione al marine litter, quanto una sorta di ‘rete di sicurezza' in caso di dispersione accidentale e quindi circoscritta a determinati prodotti. Questo perchè la completa biodegradazione in ambiente marino non è immediata - serve da qualche mese fino ad uno o due anni in funzione delle diverse condizioni ambientali - e nel tempo necessario perché si compia la completa degradazione in CO2, acqua e biomassa, il manufatto potrebbe venire a contatto con la fauna marina provocando danni.
La buona notizia è che se manufatti in bioplastica a base di PHB o di amidacee come il Mater-Bi di Novamont dovessero finire in mare, hanno buone possibilità di degradarsi biologicamente in un arco temporale accettabile, riducendo il rischio di contatto con gli animali marini e senza effetti ecotossici. Almeno così emerge dai risultati di alcuni studi promossi da Novamont sulla biodegradabilità in mare dei suoi biopolimeri, in parte svolti nei propri laboratori e in parte commissionati ad alcuni enti di ricerca esterni, anche internazionali, presentati questa mattina a Roma nel corso di una affollata conferenza stampa.
NON É UN RIMEDIO AL MARINE LITTER. Novamont ha deciso di divulgare al grande pubblico, attraverso la stampa, i risultati di ricerche che vanno avanti sotto traccia ormai da qualche anno per evitare le derive mediatiche sulla biodegradabilità marina come possibile rimedio al marine litter - ritenuto un approccio sbagliato e pericoloso al problema - nonostante il gruppo novarese sia il principale produttore di bioplastiche e, quindi, dovrebbe essere interessato a diffonderne più possibile l'utilizzo. Studi scientifici che si sono mossi su tre diversi fronti: la biodegradabilità intrinseca marina (ricerca condotta nei laboratori Novamont), la disgregazione in ambiente marino (Hydra) e l’ecotossicità rilasciata nei sedimenti per effetto della biodegradazione (Università di Siena) di sacchetti frutta/verdura realizzati in Mater-Bi.
Nel corso della mattinata, Francesco Degli Innocenti, responsabile Ecologia dei prodotti e Comunicazione aziendale di Novamont (foto a destra), ha ricordato come il rischio per l'ambiente marino sia il combinato di due fattori: concentrazione del pericolo, ovvero quantità dei rifiuti presenti in mare, e il loro tempo di permanenza. Un sacchetto o un manufatto biodegradabile poco possono fare per mitigare il primo fattore, ma sono in grado di abbassare il rischio riducendo la permanenza in acqua. “Niente deve essere abbandonato né in suolo né in mare in maniera irresponsabile, perché questo crea comunque un rischio ecologico potenziale - ha precisato Degli Innocenti -. La biodegradabilità intrinseca dei prodotti in Mater-Bi rappresenta un fattore di mitigazione del rischio ecologico che non deve diventare messaggio commerciale, ma ulteriore elemento di valutazione del profilo ambientale dei prodotti biodegradabili”.
BIODEGRADA COME LA CARTA. I materiali plastici in Mater-Bi sono stati analizzati applicando nuovi test di biodegradazione standardizzati a livello internazionale, come UNI EN ISO 19679:2018 (Materie plastiche - Determinazione della biodegradazione aerobica di materiali plastici non fluttuanti nell'interfaccia acqua di mare/sedimento sabbioso - Metodo mediante analisi del diossido di carbonio).
Questo approccio prevede l'esposizione dei campioni di plastica ai microorganismi presenti nei sedimenti marini e la misurazione della trasformazione della plastica in anidride carbonica. Le prove eseguite dai ricercatori dei laboratori Novamont, alcune delle quali verificate all'interno del programma pilota della Commissione Europea "Environmental Technology Verification", evidenziano che il Mater-Bi esposto a microorganismi marini presenta un comportamento simile, per livello e tempistiche, a quello dei materiali cellulosici, quali la carta. In particolare, la bioplastica di Novamont - diversi gradi, tra cui quelli usati per i sacchetti compostabili per ortrofrutta - mostra alti livelli di biodegradazione, in linea con quelli raggiunti dalla carta usata come materiale di riferimento, in un periodo di test inferiore ad un anno.
I ricercatori di Novamont hanno anche verificato che la velocità di biodegradazione aumenta al diminuire delle dimensioni delle particelle sottoposte a test. Ciò significa che il Mater-Bi non rilascia microplastiche persistenti, in quanto al diminuire delle dimensioni aumenta la velocità di degradazione, che - nelle particelle più piccole - si compie completamente nel giro di 20-30 giorni, come richiesto dalle linee guida dell’OCSE.
COME SI DISGREGA IN MARE. Christian Lott, ricercatore dell’istituto tedesco Hydra Marine Sciences, ha presentato i risultati di alcuni test condotti all’Isola d’Elba su sacchetti compostabili per frutta e verdura prodotti con la bioplastica Novamont, messi a contatto con sedimenti sabbiosi prelevati da differenti zone costali dell'isola (Marina di Campo, Portoferraio, Naregno e Fetovaia). I sedimenti sono stati mescolati, in acquari da laboratorio, con acqua marina in modo da simulare il fondale marino ove i rifiuti tendono naturalmente ad accumularsi. I sacchetti sono stati collocati negli acquari e prelevati a tempi differenti per verificare la disgregazione.
L’indagine ha dimostrato che il tempo necessario per una completa sparizione dei sacchetti si aggira tra meno di quattro mesi a poco più di un anno, a seconda della natura dei fondali presi in considerazione e delle loro caratteristiche chimico-fisiche e biologiche. Nello stesso tempo, campioni di analoghi sacchetti frutta e verdura in polietilene sono rimasti del tutto integri, risultato per altro prevedibile.
ECOTOSSICITÁ. Un terzo filone d’indagine, portato avanti da Maria Cristina Fossi e Silvia Casini nel laboratorio Biomarkers e Impatto Plastiche del Dipartimento di Scienze Fisiche della Terra e dell’Ambiente dell’Università degli Studi di Siena, si è concentrato sui biotest di ecotossicità su tre diverse specie di organismi marini esposti a estratti (“elutriati”) di sedimenti inoculati con Mater-Bi o con cellulosa.
I sedimenti sono stati incubati a 28°C e testati dopo 6 mesi, quando erano visibili chiari segni di degradazione del Mater-Bi e dopo 12 mesi, quando i campioni inoculati erano completamente scomparsi. Gli organismi modello selezionati per lo studio sono le alghe unicellulari (Dunaliella tertiolecta), il riccio di mare (Paracentrotus lividus) e la spigola (Dicentrarchus labrax). Le alghe unicellulari e il riccio di mare sono stati utilizzati per indagare eventuali effetti di inibizione della crescita e di embriotossicità, mentre gli esemplari giovanili di spigola sono stati testati per valutare possibili effetti subletali. Secondo i ricercatori dell'Università di Siena, gli elutriati di sedimenti inoculati con Mater-Bi per 6 e 12 mesi non hanno mostrato effetti tossici negli organismi modello esposti in questo studio. Il processo di degradazione del Mater-Bi non ha generato e trasferito sostanze tossiche negli elutriati in grado di provocare alterazioni nella crescita delle alghe unicellulari, embriotossicità nel riccio di mare e stress ossidativo o genotossicità nella spigola.
STANDARDIZZAZIONE DEI TEST. Le analisi sono state possibili grazie al lavoro del consorzio di ricerca Open-Bio presieduto da Ortwin Costenoble dell'Istituto di standardizzazione olandese NEN e finanziato dalla Commissione Europea, che ha messo le basi per lo sviluppo dei metodi di prova marini e la successiva standardizzazione.
"Questi risultati non sono la conclusione di un percorso di ricerca, ma solo una tappa intermedia per comprendere i meccanismi di degradazione in mare, grazie alla disponibilità di dati scientifici che andranno ulteriormente approfonditi - ha affermato Degli Innocenti -. É comunque importante sapere che i manufatti in Mater-Bi, qualora dovessero accidentalmente finire in mare, sono biodegradabili e non ecotossici, quindi rappresentano un fattore di mitigazione del rischio ambientale”.
SERVE UNA VISIONE OLISTICA. La conclusione del workshop è stata affidata a Catia Bastioli, AD di Novamont (nella foto), che ha inquadrato il marine litter nel più ampio tema della tutela e rigenerazione ambientale e di un modello di sviluppo che va riconsiderato alla luce dell’impatto ormai insostenibile sul nostro Pianeta.
"In meno di un secolo siamo passati da un pianeta vuoto ad un pianeta pieno dal punto di vista della popolazione, delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera, delle quantità di prodotti immessi sul mercato - ha affermato Bastioli -. Se vogliamo affrontare in modo serio e concreto le sfide ambientali e sociali complesse che abbiamo davanti dobbiamo ragionare in termini di valore più che di volumi, in una logica di economia circolare con al centro la qualità del suolo e dell’acqua” Secondo l’AD di Novamont: “La rigenerazione di queste preziose risorse richiede di minimizzare l’uso dei prodotti e di ripensarli lungo tutto il ciclo di vita. La capacità di biodegradare in diversi ambienti è una caratteristica essenziale quando sussiste un elevato rischio di inquinamento della materia organica, che, in un mondo pieno, va sempre trattata da una rete efficiente di impianti".
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