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L’Italia del plastic-free è pronta al recepimento della Direttiva?

mercoledì 19 giugno 2019

Nonostante la direttiva SUP sia stata accolta con entusiasmo nel nostro paese, c’è più di un legittimo sospetto che non ne siano state pienamente comprese le misure e il potenziale che essa racchiude per un superamento del consumo monouso e per una transizione verso modelli di economia circolare.

Qualche dubbio in tal senso nasce dall’analisi dei provvedimenti contenuti nelle numerose iniziative Plastic Free da parte di Atenei, Regioni, Comuni, Associazioni di categoria e altri soggetti che si susseguono negli ultimi mesi a cadenza quasi giornaliera.

Tra le misure oggetto della maggior parte delle ordinanze Plastic Free, che interessano oltre 100 comuni, c’è un comune denominatore che consiste nel divieto di utilizzo e distribuzione di stoviglie, bicchieri e posate in plastica. A seconda dei casi questo provvedimento può arrivare anche al divieto di vendita di questi manufatti da parte di negozi e supermercati e interessare anche tutto il territorio comunale, oppure solo determinate aree cittadine o uffici pubblici, o servizi gestiti dal comune come le mense scolastiche , o eventi e manifestazioni.

Entrando nel merito dei prodotti interessati dalle ordinanze si può inoltre rilevare che una parte di esse vietano l’utilizzo o la vendita di prodotti che rientrano tra i 10 che la direttiva SUP bandisce (ad esempio cannucce o mescolatori per bevande), e una parte si spinge oltre includendo prodotti come bottiglie, bicchieri, bicchierini da caffè con palette e altri contenitori monouso che non sono invece soggetti a restrizioni d’uso da parte della direttiva.

In quasi tutti questi casi l’amministrazione comunale dichiara, impropriamente di anticipare la Direttiva SUP che dovrà essere recepita negli ordinamenti normativi dei paesi membri entro la metà del 2021. (In Italia entro il 3 luglio del 2021). Questa affermazione si ritrova praticamente in tutte le comunicazioni inviate ai media dai soggetti prima citati, e non risparmia neanche le regioni, dalle quali sarebbe legittimo aspettarsi una maggiore precisione quando si entra nel merito di provvedimenti legislativi.

Un rischio insito in queste ordinanze “fai da te” , seppur motivate da nobili intenti, è quello di esporre le amministrazioni a ricorsi al TAR da parte dei soggetti economici colpiti dai vari divieti, e di alimentare, allo stesso tempo, la confusione dei cittadini e degli operatori commerciali con provvedimenti che cambiano a seconda dei confini comunali.

Biodegradabile e compostabile: la confusione regna

Con l’avvento delle bioplastiche, termini prima raramente utilizzati nel quotidiano come biodegradabile, compostabile e ultimamente anche biobased, sono diventati sempre più ricorrenti nel linguaggio comune. Facendo una ricognizione sui social è facile rilevare che anche chi fa uso di questi aggettivi ha una conoscenza approssimativa del loro significato, non conosce la differenza tra compostabile e biodegradabile, e tende a ritenere che un bene marchiato compostabile possa biodegradarsi in natura. 

Allo stesso tempo, da quando la plastica è nell’occhio del ciclone, questi aggettivi hanno assunto in modo automatico una valenza positiva, e a prescindere dal prodotto al quale vengono attribuiti. Non per nulla il marketing aziendale si sta adeguando a questo nuovo sentire nella scelta dei materiali per vecchi e nuovi prodotti/imballaggi, in modo da sfruttarne il potenziale vantaggio competitivo. L’impressione è che si voglia “cogliere l’attimo” senza una valutazione del ciclo di vita delle nuove proposte rispetto alle precedenti che vanno a rimpiazzare, e soprattutto senza voler entrare nel merito di quali siano le conseguenze del loro fine vita sui sistemi esistenti di avvio a riciclo dei vari flussi di rifiuti. Il fatto che le ordinanze balneari Plastic Free proibiscano stoviglie, posate o bicchieri in plastica ma ammettano le versioni biodegradabili e compostabili, si presta a rafforzare questa errata interpretazione, piuttosto che confutarla.

Neanche i testi delle ordinanze e i relativi comunicati aiutano a fare chiarezza, poiché gli aggettivi biodegradabile e compostabile vengono usati alternativamente, come se fossero sinonimi.

Ed ora anche Supermercati Plastic free…

Purtroppo non sono solamente le amministrazioni locali a “creare confusione” sul tema perché anche la Grande Distribuzione Organizzata tramite un comunicato di Federdistribuzione, ha annunciato qualche giorno fa la partenza della “lotta alla plastica monouso” da parte della GDO che prevede che, entro il termine massimo del 30 giugno 2020, tutte le stoviglie in plastica monouso escano definitivamente dagli scaffali delle insegne associate.

Curioso che sia proprio la GDO a voler ingaggiare “una guerra santa” contro la plastica quando sono state proprio le politiche commerciali delle insegne ad aumentarne l’utilizzo. Ad esempio aumentando progressivamente la quota di offerta di prodotti freschi pronti al consumo, di tutti i tipi, con un conseguente aumento nell’utilizzo di packaging e di banchi refrigerati che non è proprio la migliore ricetta per ridurre le emissioni climalteranti.

Dalle informazioni avute dal settore ho appreso che  il 70% degli acquisti nel nord e centro Italia di prodotti di gastronomia, inclusi formaggi e salumi, viene ormai acquistato confezionato dai banchi frigo invece che sfusi al banco. Questo risultato viene ribaltato solamente nel sud dell’Italia.

Tornando ai fatti recenti, la prima a passare ai fatti è stata Unicoop Tirreno che dal primo giugno scorso non ha più questi manufatti in vendita, con l’effetto che anche Conad Tirreno ha annunciato di voler seguire l’esempio. Unicoop Tirreno è stata anche la prima a fare riferimento alla direttiva nel suo comunicato stampa “Lo stop al monouso inquinante batte sul tempo tutti e anticipa in concreto la direzione di marcia indicata dall’Europa che, lo scorso marzo, ha approvato una direttiva con cui, dal 2021, mette al bando sul territorio europeo alcuni oggetti di plastica monouso, che costituiscono il 70% di tutti i rifiuti marini.”

Di fatto la decisione, presa per poter “garantire un servizio”, non diminuirà questa tipologia di rifiuto, anche qualora la destinazione fosse l’impianto di compostaggio. A meno che un possibile prezzo più alto di questi manufatti, abbinato a una “corretta” interpretazione dello slogan dell’iniziativa, possano avere l’effetto di scoraggiarne gli acquisti.

Tornando invece all’annuncio di Federdistribuzione, l’associazione non esclude che alcune insegne affiliate possano anticipare questa tempistica e nel comunicato stampa ribadisce che “Nei punti vendita della Distribuzione Moderna Organizzata acquistano 60 milioni di persone ogni settimana, che si aspettano da noi comportamenti etici (…). Siamo consapevoli di questa responsabilità e vogliamo essere attori di cambiamento, coerenti con i nuovi valori, anticipando le leggi e stimolando i consumatori verso atteggiamenti e azioni sostenibili e favorevoli alla tutela dell’ambiente”. Un percorso graduale ma determinato, coerente con lo sviluppo dei nuovi materiali secondo le indicazioni della Direttiva Europea e con i tempi necessari per la riconversione del comparto industriale.”

Il giorno seguente alla presentazione del quinto Rapporto annuale di Assobioplastiche il direttore dell’area legale di Federdistribuzione Marco Pagani ha spiegato che la decisione di anticipare l’entrata in vigore del provvedimento “è stata presa per fornire un sufficiente lasso di tempo alle aziende della grande distribuzione e ai loro fornitori per adeguarsi alle nuove norme in modo graduale, evitando il caos seguito all’introduzione degli shopper compostabili. Mentre la decisione di mantenere a scaffale le stoviglie ‘bio’ anche dopo il 2021 dipenderà da come la direttiva SUP sarà recepita nel nostro paese”.

Il ragionamento fatto da Federdistribuzione per arrivare a questa linea d’azione, così come viene illustrata, non appare tuttavia così lineare, a meno che l’associazione consideri molto probabile un recepimento della direttiva che non vieti anche le versioni compostabili.

Guerre commerciali

In occasione del convegno prima citato Assobioplastiche ha reso noto che si sta muovendo presso il Ministero dell’Ambiente e le commissioni parlamentari per far esentare le bioplastiche compostabili dai divieti imposti dalla direttiva sugli articoli monouso. Secondo il Presidente dell’associazione Marco Versari vi sarebbero una serie di elementi presenti nel pacchetto sull’economia circolare e nella strategia europea sulla plastica e all’interno dell’art. 3 della direttiva che aprirebbero la strada ad un possibile recepimento italiano della direttiva che escluda le bioplastiche dal suo campo di applicazione.

Non si è fatta attendere la reazione di Federazione Gomma Plastica FGP che in una nota inviata ai media, si è dichiarata sconcertata dal “repentino cambio di rotta di Assobioplastiche“ che “preannuncia forse un recepimento “truffaldino” dei contenuti della Direttiva, che il Gruppo Promo e Unionplast contestano nella sua interezza”.

Che dire se non che siamo di fronte a due competitor che hanno l’interesse a mantenere o a conquistare il mercato dei prodotti monouso, supportati da studi e analisi che sono, legittimamente, “di parte”.

C'è da augurarsi che la politica faccia il suo dovere e vada oltre al mero ruolo di arbitro tra i diversi interessi economici. Se vogliamo avere una minima chance di poter mitigare il riscaldamento climatico, servono urgentemente politiche ambiziose di decarbonizzazione dell’economia, oltre che drastici cambiamenti negli attuali stili di vita e di consumo, che hanno una diretta influenza sul consumo di risorse, la perdita del capitale naturale e l'aumento delle emissioni di Co2.

Effetti collaterali sulle politiche di riduzione da parte dei comuni

Da un’analisi dei provvedimenti contenuti nelle ordinanze Plastic Free emerge che è ormai passato il messaggio sul fatto che le misure adottate siano in linea con la direttiva Sup.

Il risultato è che ben difficilmente ci sarà un effetto propulsivo sulle politiche di prevenzione adottabili dai comuni e soggetti del settore alberghiero e della ristorazione se, tramite una delibera o una legge nazionale, sarà possibile sostituire articoli monouso in plastica con altri tipi di monouso. Al contrario poter giocare la carta della direttiva all’interno di azioni verso le attività commerciali che fanno un massiccio utilizzo di articoli monouso, potrebbe essere per le amministrazioni comunali la mossa vincente per spingerle ad adottare alternative riutilizzabili e/o sistemi di riutilizzo.

Mentre le stoviglie e i sistemi usa e getta sono appetibili per la comodità di non dover lavare e gestire i manufatti (che per il settore commerciale significa risparmi economici importanti anche sul costo del personale), i sistemi di riutilizzo lo sono molto meno perché richiedono cambiamenti e investimenti iniziali per cambiare l’operatività dei servizi e renderli invitanti/scalabili per gli utenti.

Servirebbero pertanto misure di accompagnamento per scoraggiare l’uso di tutti i manufatti usa e getta se si volesse stimolare un cambio di paradigma verso modelli di riuso, che dovrebbero a loro volta diventare più convenienti.

È difficile mantenere l’ottimismo se si guarda a cosa è successo quando è stato introdotto lo scorso anno il divieto di commercializzazione per i sacchetti ultraleggeri in plastica, a favore delle alternative in bioplastica. L’ultimo atto è stata la circolare da parte del ministero della Salute, che, sollecitato dal ministero all’Ambiente ad esprimersi sulla possibilità di mettere a disposizione sacchetti riutilizzabili nel comparto ortofrutta da parte della GDO, ha di fatto bocciato la proposta per ragioni di ordine sanitario. Mentre in quel caso solamente la catena NaturaSì ha introdotto ugualmente tali sacchetti, Federdistribuzione e le sue associate non hanno ritenuto di fare prevalere il ruolo di “attori del cambiamento” che “stimolano i consumatori verso atteggiamenti e azioni sostenibili e favorevoli alla tutela dell’ambiente” menzionato nel loro comunicato del 30 maggio.

Così come le politiche di prevenzione sui rifiuti plastici in Europa, o non sono state avviate o non hanno funzionato negli anni, esiste il rischio concreto che la stessa situazione si riproponga con altri materiali, anche se con conseguenze e impatti ambientali differenti. La situazione attuale a livello di politiche di di prevenzione è stata fotografata dal recente studio Preventing plastic waste in Europe dell’Agenzia Europea per l’Ambiente. Dall'analisi delle politiche di prevenzione dei rifiuti plastici adottate in 27 diversi paesi è risultato che solo 9 paesi si sono dotati di un programma con obiettivi stringenti di prevenzione per i rifiuti di plastica. Tra questi sono risultati comunque pochissimi i casi di iniziative adottate in cui è stata fatta una misurazione e una valutazione adeguata dei progressi ottenuti.

Gli impatti delle bioplastiche sui sistemi di raccolta e l’impiantistica nazionale

Per quanto riguarda il fine vita dei manufatti compostabili è evidente che si sta delineando un potenziale problema che verrà causato da un loro aumento incontrollato nella raccolta dell’umido, a seguito dei provvedimenti Plastic Free e dalla decisione degli associati a Federdistribuzione. Questo avverrà prima ancora di un eventuale possibile recepimento dell’Italia a favore delle bioplastiche. Gli impianti di compostaggio industriale sono infatti in grado di smaltire correttamente le plastiche compostabili solo se non superano una certa percentuale del totale del materiale organico.

E non si parla solamente di stoviglie e bicchieri, ma anche a varie tipologie di imballaggi compostabili che l’industria del largo consumo, in fuga dalla plastica, ha adottato, o è in procinto di adottare. Al momento, le opzioni di imballaggio che sono già presenti sul mercato si sono orientate sul PLA (acido polilattico) come monomateriale o in abbinamento alla carta nel caso di imballaggi multistrato. Si tratta di involucri per surgelati e altri prodotti, vaschette e bottiglie per l’acqua minerale.

Da una ricognizione effettuata in altri paesi risulta che ad oggi il PLA non venga largamente riciclato e neanche compostato trattandosi di un materiale difficile da gestire e valorizzare a fine vita. I motivi sono diversi e non si riducono solamente al fatto che non ci siano quantità sufficienti per rendere economicamente sostenibile una sua gestione post consumo come flusso separato. Senza parlare della difficoltà da parte degli utenti di distinguere il PLA , e altre bioplastiche, dalla plastica fossile che difficilmente si risolverà con una etichettatura che indichi dove conferire il manufatto a fine vita.

Servirebbe pertanto alla luce di questi scenari che ho descritto effettuare degli studi che valutino l’impatto che si potrebbe verificare sugli impianti a digestione aerobica e anaerobica in seguito ad un massiccio aumento di questi materiali sul breve lungo termine sia a livello ambientale che economico. Tenendo anche conto dell’inevitabile aumento di conferimenti impropri dovuti al fattore umano e dei conseguenti effetti sulla qualità del compost.

L'articolo completo si trova sul sito comunivirtuosi.org

 

 

di: silvia ricci
"Gli articoli in questa sezione non sono opera della redazione ma esprimono le opinioni degli autori"
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