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Senza recupero energetico il riciclo non va avanti

venerdì 16 novembre 2018

Il bello, o il brutto, del nostro bel paese è che il confronto politico su temi molto complessi, che andrebbero impostati su basi scientifiche, quanto meno in una fase analitica, prima di arrivare ad un convincimento che possa portare a un serio dibattito, si arenano quasi subito sul terreno della polemica demagogica, dello slogan, dove uno vale uno; e se molti sono contrari, significa che devono per forza aver ragione.

La polemica di questi giorni sui termovalorizzatori segue questo copione: due vicepresidenti del consiglio - per altro alleati di Governo - si scontrano sulla necessità o meno di realizzare nuovi impianti, interviene anche il Ministro dell’Ambiente e si finisce a battute e slogan. Il ministro dell’interno Matteo Salvini afferma che serve un termovalorizzatore per ogni provincia, perché i rifiuti prodotti vanno smaltiti. Il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio ribatte che in Campania non servono perché sta aumentando la raccolta differenziata e, quindi, per estensione anche nel resto del paese non sono necessari, ma - soprattutto - visto che non sono previsti nel ‘contratto di Governo’ il tema non andrebbe neanche affrontato. Sulla stessa lunghezza d’onda è il Ministro del’Ambiente Sergio Costa che liquida il tema con "Quando arriva l’inceneritore, o termovalorizzatore, il ciclo dei rifiuti è fallito”, ribadendo che "Riduzione, riuso, recupero, riciclo, sono le quattro R che devono diventare un mantra per tutti”.

L’equivoco di fondo è che il recupero energetico - categoria più generale in cui rientra la termovalorizzazione - non è un'alternativa al riciclo, ma ne è il necessario complemento. Nel caso dei rifiuti plastici, alcune frazioni della raccolta differenziata non sono tecnicamente od economicamente riciclabili allo stato dell’arte; e anche lo stesso riciclo meccanico origina scarti che non possono essere riutilizzabili tal quale. Queste frazioni devono essere smaltite o mediante recupero energetico, bruciate al posto dei combustibili fossili, o avviate a discarica. Cosa succede se mancano i termovalorizzatori (o i forni dei cementifici)? Residui e scarti vanno spediti altrove, nel lontano Far East (che non li vuole più) o nella più vicina Europa (che ne è oggi sommersa), dove gli impianti di recupero energetico funzionano a pieno regine e - solo grazie a questi - i paesi più virtuosi tendono all’obiettivo “discarica zero”. In alternativa, bisogna rallentare la raccolta differenziata di alcune frazioni come la plastica, i cui tassi di riciclo meccanico sul totale del raccolta sono forzatamente bassi - rinunciando ai nuovi e ambiziosi obiettivi fissati dalla UE. Oppure, come sta avvenendo in questo momento, i centri di selezione e stoccaggio s’intasano e si diffondono le discariche abusive o precarie, che ogni tanto prendono fuoco.

C’è al vero un’altra strada che si può seguire, che vale soprattutto per i rifiuti plastici, ovvero recuperare energia non attraverso inceneritori, ma fornendo i rifiuti a cementifici (in forma di CSS, combustibile solido secondario), oppure trattandola con processi di gassificazione o pirolisi. Eventualmente, questo potrebbe essere il tema di un dibattito politico. Bisogna però considerare che questi impianti rappresentano una soluzione per la plastica, ma non per gli indifferenziati, che oggi stanno intasando i centri di raccolta proprio perché mancano inceneritori.

Con Stefano Petriglieri, Energy Recovery manager di Corepla, proviamo a fare due conti, limitandoci ai rifiuti plastici. “Innanzi tutto, bisogna capire che il recupero energetico non va messo in competizione con il riciclo meccanico, ma con lo smaltimento in discarica - afferma -. E che il recupero energetico si può fare in diversi modi, non solo bruciando i rifiuti”. Partendo da 100 kg di rifiuti plastici da imballaggio raccolti in modo differenziato, al centro di smaltimento circa 60 kg vengono in media selezionati per il riciclo, mentre per i restanti 40 kg bisogna individuare strade alternative, prevalentemente CSS, in parte termovalorizzazione e il resto in discarica. Anche investendo sulla raccolta (tenendo però conto che aumentando le quantità, la qualità si riduce) e sulla selezione, si può forse portare la quota del rifiuto plastico destinato a riciclo al 70%. Ma quando il materiale così selezionato viene trattato negli impianti di riciclo, un 30% diventa comunque scarto. Ne consegue che, anche nella migliore delle ipotesi, circa la metà dei rifiuti plastici raccolti dai cittadino non può tornare materia utile, ma deve essere smaltito in altri modi. Cosa poi farne della plastica riciclata è un altro problema, ma - come si dice - questa è un’altra storia.

“Il Governo deve decidere quale obiettivo perseguire - nota Antonello Ciotti, Presidente di Corepla - al netto del riciclo meccanico e del compostaggio, restano solo due alternative: se vogliamo raggiungere l’obiettivo “discarica zero" dobbiamo per forza puntare sul recupero energetico; se invece decidiamo di fare a meno degli inceneritori dobbiamo accettare le discariche”. “Abbiamo circa un terzo dei termovalorizzatori in funzione in Germania, che ha popolazione e consumi comparabili”. aggiunge. “Senza dimenticare che per spingere il riciclo meccanico serve anche un mercato finale per la plastica riciclata, che oggi non sembra ancora pronto ad assorbire maggiori volumi”.

Posto, quindi, che la termovalorizzazione e il recupero energetico sono indispensabili al riciclo, quanti impianti potrebbero servire? nessuno come dice Di Maio o uno per provincia come afferma Salvini? In realtà il conto era stato già fatto quattro anni fa e riportato nel decreto "Sblocca Italia” del Governo Renzi: 12 nuovi inceneritori in dieci regioni, che vanno ad aggiungersi ai 42 già in funzione e ai sei autorizzati. Una via di mezzo, quindi. Ma pensare che il problema si possa risolvere in tempi brevi è illusorio: mediamente occorrono otto anni per ottenere tutte le autorizzazioni, una volta identificato il sito, al netto delle proteste dei cittadini, dei ricorsi al TAR presentati dalle imprese escluse dalle gare, da altre lungaggini burocratiche e, una volta iniziati i lavori, dalle modifiche in corso d’opera.

Questo scenario, che non sembra compreso dai nostri governanti, è ben chiaro ai riciclatori, tanto che il presidente di Fise Assoambiente - Chicco Testa (che ha alle spalle una lunga militanza politica, la presidenza di Legambiente e una più recente carriera da manager) - afferma che "realizzare l’economia circolare significa aumentare il numero degli impianti di gestione dei rifiuti, non diminuirli e soprattutto valutare concretamente e senza preconcetti le esigenze di gestione includendo tutte le opzioni previste a livello europeo”. Secondo Testa per raggiungere gli ambiziosi obiettivi europei (65% di riciclaggio, 10% discarica e 25% recupero energetico) ne servirebbero almeno una decina da collocare soprattutto nel Centro-Sud, in Toscana, Lazio, Campania, Calabria, Sicilia e Sardegna.
"Per realizzare gli impianti necessari occorre una legislazione stabile, efficace e semplice, tempi di autorizzazione rapidi, sistema di controlli uniforme, moderno e tempestivo - aggiunge -. Occorrono operatori industriali capaci di fare investimenti ed innovazione. Un contesto culturale non ostile e una classe politica capace di mediare il conflitto”. Insomma, il libro dei sogni...

di: Carlo Latorre
"Gli articoli in questa sezione non sono opera della redazione ma esprimono le opinioni degli autori"
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