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All'industria della plastica conviene cambiare pelle

mercoledì 21 febbraio 2018

Se per quasi mezzo secolo l'industria della plastica è riuscita a nascondere all'attenzione del mondo gli effetti collaterali di una gestione disastrosa di un materiale estremamente utile e versatile ma che “vive in eterno” come la plastica, parrebbe essere arrivato il momento della resa dei conti.

Negli ultimi anni il fenomeno del marine litter in tutte le sue diverse forme ha guadagnato le prime pagine dei giornali e della pubblica attenzione.

Numerosi studi usciti negli ultimi anni hanno rilevato che la plastica è ormai presente in quasi tutti gli organismi marini e ad ogni profondità e latitudine degli oceani . Anche la proprietà della plastica dispersa in mare di assorbire e concentrare in se le sostanze chimiche presenti nelle acque ha alzato la soglia di preoccupazione dell'opinione pubblica.

Rispetto ad una decina di anni fa, quando ho cominciato a seguire questa problematica sui media ambientali, ma anche su testate specializzate come PlasticNews, ho notato che il fronte tradizionalmente attivo nel contrasto dell'inquinamento marino e nelle politiche di salvaguardia si è notevolmente allargato.

Alle istituzioni governative, associazioni ambientaliste e ai sostenitori del riciclo si sono aggiunti altri soggetti impegnati a vario titolo nella difesa del clima, della biodiversità che hanno in comune la volontà di risolvere il problema dei rifiuti con interventi legislativi. Anche da parte dei media c'è stato un maggiore impegno di informazione e approfondimento sul fenomeno dell'inquinamento da plastica che in alcuni casi ha dato vita a campagne mediatiche per sensibilizzare l'opinione pubblica.

Soprattutto in Inghilterra media come il Daily Mail e il Guardian hanno lanciato specifiche campagne mirate al marine litter e alla plastica usa e getta. Anche Sky ha lanciato un anno fa la campagna Ocean Rescue che, oltre ad un piano articolato di riduzione della plastica nelle sue sedi, ha previsto uno stanziamento 25 milioni di sterline in 5 anni per attività di contrasto al marine litter, e di protezione per circa 400.000 km2 di riserve marine in Europa, in partnership con il WWF .

Sempre in Inghilterra la necessità di trovare una collocazione alle tonnellate di scarti di plastica che non possono più essere esportate in Cina (66% della produzione totale) ha contribuito a far nascere iniziative volontarie di eliminazione o riduzione della plastica monouso. Impegni e programmi in tal senso sono stati annunciati, oltre che dalla May, anche dalla Regina Elisabetta (per le sue residenze), dalla BBC, da Ryan AirEurostar e persino dalla chiesa Anglicana. Quest'ultima per “chiamare i suoi fedeli alla difesa del creato” ha pubblicato un vademecum giornaliero di suggerimenti per una quaresima plastic free distribuito nelle sue 42 diocesi.

Beat plastic pollution "Sconfiggi l'inquinamento di plastica" è lo slogan scelto dal programma Ambiente dell'Onu (Unep) per l'edizione 2018 della sua giornata mondiale dell'ambiente che si celebra il 5 giugno.

L'industria della plastica si trova a dover fronteggiare le conseguenze di una strategia basata sulla negazione dell'impatto ambientale, economico e sociale dovuto alla dispersione della plastica nell'ambiente.

In particolare l'industria non ha mai voluto affrontare il problema del marine litter, nonostante il fenomeno fosse già noto almeno dagli anni settanta, come ha evidenziato lo studio “Plastic Industry Awareness of the Ocean Plastics Problem” del CIEL : Center for International Environmental Law.

Al contrario la strategia scelta è stata quella di minimizzare se non negare il problema, attribuendone l'esclusiva responsabilità alla cattiva gestione dei rifiuti da parte dei governi e/o all'inciviltà delle persone.

Senza voler negare che c'è sicuramente una parte di responsabilità ascrivibile ai soggetti prima citati l'impiego massiccio di un materiale durevole come la plastica per realizzare manufatti usa e getta senza prendersi carico del loro fine vita, è stato un classico esempio di modello di business lineare (take-make-dispose). Il Rapporto della Ellen McArthur Foundation The New Plastics Economy uscito nel 2016 ha rivelato che il 95% del valore del packaging, stimabile in 60-120 miliardi di dollari, si perde dopo un singolo utilizzo

Rispetto al rifiuto da imballaggio tutto ha avuto inizio decadi fa quando la bottiglia di plastica ha messo in pensione i sistemi di vuoto a rendere in vetro permettendo all'industria del beverage di alleggerirsi dei costi del sistema. Al contempo la gestione del fine vita con oneri e onori è passata alle municipalità e la finanziamento da parte dei contribuenti. 

Immettere quantità sempre maggiori di contenitori in plastica in contesti geografici dove non esistono sistemi post consumo di gestione dei rifiuti (lascia stare riciclo) ha fatto si che quasi il 60% della plastica che finisce negli oceani arrivi da paesi asiatici come Cina, Indonesia, Filippine, Tailandia e Vietnam. (1)

Ad oggi l'industria della plastica ha investito a livello internazionale risorse finanziarie consistenti nel tentativo di combattere qualsiasi legislazione da parte di governi nazionali o locali volta a ridurre, tassare o bandire il consumo di imballaggi monouso e contenitori usa e getta.

Per evitare in particolare che venissero adottati sistemi di deposito su cauzione l'industria del beverage ha intentato cause legali e minacciato cancellazioni di sponsorizzazioni in essere con istituzioni pubbliche.

Un'altra nota strategia dell'industria messa in atto anche in tempi recenti per bloccare o ritardare l'entrata in vigore di un deposito su cauzione o altre legislazioni è quella di promettere una serie di azioni volontarie per ridurre il littering, incrementare raccolta e riciclo, oppure mettere a disposizione dei governi risorse finanziarie per specifici progetti.

Purtroppo queste esperienze, monitorate a livello locale e internazionale da ong o istituzioni governative negli anni, si sono dimostrate inefficaci nella riduzione del littering così come nel miglioramento delle performance di raccolta, riciclo e dell'ecodesign.

Fanno parte di questa categoria anche i vari progetti pilota di riciclo di determinati flussi di imballaggi problematici per il riciclo che vengono lanciati in pompa magna ma che dopo aver interessato qualche quintale di materiale finiscono nel nulla. Questo vale per l'Italia e non solo.

Sempre in Inghilterra pare che si stia arrivando più vicini ad una possibile adozione del deposito su cauzione da quando la Coca Cola sta collaborando nell'individuazione del sistema più adatto per il Regno Unito, che potrebbe essere il modello norvegese. Anche in Francia qualcosa si muove sempre con la collaborazione della multinazionale. Evidentemente gli obiettivi del piano di Coca Cola “world without waste” di raccogliere al 2030 una quantità di contenitori che sia pari rispetto all'immesso al consumo richiede un ripensamento dei sistemi di raccolta.

L'industria produttrice ed utilizzatrice di plastica ha ora più che mai l'interesse e l'occasione di cambiare completamente strategia per raggiungere i nuovi obiettivi di riuso e riciclo contenuti del pacchetto di nuove direttive europee in materia di rifiuti e di economia circolare. Ma anche per cercare di trasformare la chiusura delle frontiere cinesi in un'opportunità ambientale ed economica per l'Europa.

La mossa cinese impone all'industria produttrice ed utilizzatrice di plastica di intraprendere con urgenza una nuova fase di ascolto e di collaborazione con tutti gli stakeholder della filiera per evitare di continuare a dover raccogliere (in larga parte a spese dei contribuenti ) imballaggi che non hanno valore, e che non trovano da noi più posto neanche negli inceneritori.

Lo studio e programma, The New Plastics Economy prima citato ha prodotto lo scorso anno un piano d'azione, Catalysing Action, che offre delle soluzioni mirate a specifici imballaggi e polimeri che sono state riprese nella recente Strategia sulla Plastica.

Oltre 11 multinazionali e solo, aderenti al programma hanno annunciato specifici obiettivi da perseguire entro il 2025. Tra gli impegni resi noti più efficaci per favorire la circolarità nell'impiego di materia vi sono l'utilizzo di imballaggi realizzati con un solo polimero e con l'impiego del 100% di plastica post consumo.

Per concludere prendo in prestito un estratto da un interessante articolo di Rocco Renaldi di Landmark Public Affairs sulla Plastic Strategy (2). Il brano si riallaccia ad un'osservazione fatta dall'autore nell'articolo sui due limiti fondamentali del metodo LCA (analisi del ciclo di vita) su cui si basano spesso scelte aziendali, anche per il packaging. In primo luogo la quantificazione esatta dell’impatto ambientale "funziona molto meglio quando riferito a casi specifici piuttosto che come strumento di politica generale. In secondo luogo può solo rendere conto di quegli aspetti del ciclo di vita quantificabili – e molte esternalità ambientali non lo sono. Un esempio calzante è il costo ambientale dei rifiuti marini".

"La sfida maggiore per l'industria consisterà nel come preservare la funzionalità di prodotti e imballaggi in un’economia di consumo altamente competitiva, non solo migliorando la riciclabilità e i tassi di riciclo, ma riducendo allo stesso tempo sia la quantità che i tipi di materiale utilizzati. Per fare un reale passo avanti: conservare la “funzionalità” è un dato di fatto, ma la richiesta per il domani verterà su come reinventare la funzionalità stessa, avendo prima incorporato un approccio di economia circolare nella fase di ideazione del prodotto. Questo sarà l’aspetto più interessante di questo dibattito in futuro."

(1)Stemming the Tide  by Ocean Conservancy and McKinsey Center for Business and Environment, 2015.

(2) EU Strategy on Plastics: The Promise and the Pittfalls - Rocco Renaldi (Landmark Public Affairs)

di: silvia ricci
"Gli articoli in questa sezione non sono opera della redazione ma esprimono le opinioni degli autori"
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