17 marzo 2020 10:16
Solo in
Lombardia, per medici, infermieri e altri lavoratori a rischio servono
300 mila mascherine protettive al giorno, ma in Italia abbiamo smesso di produrle sotto la pressione della
concorrenza asiatica, nonostante il nostro paese sia uno die maggiori fornitori mondiali di dispositivi medicali. Ora occorre tornare a produrle, insieme a tute monouso e altri dispositivi di protezione individuale, perché la domanda è superiore all’offerta.
Il
Politecnico di Milano ha avviato con
Regione Lombardia il progetto
Polimask, illustrato oggi dal rettore dell’ateneo milanese,
Ferruccio Resta, in un’intervista al Corriere della Sera (
leggi). "Tra 48 ore al massimo la produzione potrà essere avviata. È questa almeno la nostra scommessa”, ha affermato il Rettore, spiegando che il Politecnico si è assunto il compito di
testare la sicurezza dei
materiali dei dispositivi di protezione e consentire alle aziende - una dozzina in tutto - di avviare rapidamente la produzione evitando il lungo iter autorizzativo.
Nei laboratori del Politecnico sono in fase di test
18 materiali sottoposti dalle
12 aziende che si sono candidate ad avviare la produzione. "Dal cotone ai cosiddetti tessuti non tessuti che di solito servono per coprire le piante, fare i teli di protezione per l’agricoltura, oppure produrre i camici per i dentisti: poliestere, polipropilene, trame di plastiche varie - ha spiegato Resta - Lo scopo è capire quali fibre sono in grado di proteggere dal
Covid-19. Per utilizzarle il prima possibile per produrre le mascherine”.
Intanto, la modenese
Tecnoline ha annunciato di aver avviato la
produzione di mascherine nello stabilimento di Concordia sulla Secchia, nel distretto biomedicale mirandolese, dopo aver convertito a tempo di record parte delle linee produttive. “Si tratta in questo momento di mascherine
chirurgiche, già registrate con marchio CE ma – precisa
Stefano Foschieri, amministratore delegato della società - stiamo attendendo la conferma della registrazione per le mascherine
FFP2, ci auguriamo di avere una risposta positiva a breve”. L’azienda è operativa con 3 turni, 7 giorni su 7, 24 ore su 24. Il picco della produzione verrà raggiunto fra 7-10 giorni con
40mila mascherine al giorno. Sono già pervenute richieste per 500mila pezzi ma l’azienda punta a produrne 1 milione in un mese.
Tecnoline produce anche alcuni componenti in plastica delle
barelle per biocontenimento, quelle utilizzate per il trasporto dei malati da coronavirus: si tratta di una particolare sacca di protezione che è stata testata per la prima volta nel 2014 per il trasporto dei malati di Ebola e che elimina il rischio di contagio per il personale coinvolto.
Anche la
Miroglio di Alba (Cuneo) ha
convertito parte della sua produzione tessile per sfornare
mascherine chirurgiche in cotone idrorepellente, con l’obiettivo di arrivare a produrne a regime circa
75-100 mila al giorno. In mancanza dei tempi tecnici per la certificazione CE, Regione Piemonte ha ottenuto una deroga per poterle utilizzare. Il costo di produzione del primo lotto di 600mila unità è stato coperto da
Giuseppe Miroglio, vicepresidente e azionista del gruppo. E per la Protezione Civile, l’azienda ha concordato un prezzo minimo, a copertura dei costi di produzione.
Era passata a produzioni di alta gamma, utilizzando
bioplastiche (Mater-bi di Novamont), la
Coccato&Mezzetti di Galliate, in provincia di Novara. Ora ha ripreso la produzione in serie di dispositivi di protezione individuale, tra cui mascherine e tute monouso, per soddisfare la forte richiesta proveniente dalle strutture ospedaliere. Nel 2005 l’azienda piemontese aveva
abbandonato il mercato delle mascherine protettive non potendo reggere alla
concorrenza asiatica, concentrandosi su dispositivi di protezione individuale biodegradabili e compostabili, pur con le stesse caratteristiche e gli standard ad elevata resistenza a batteri e virus.
© Polimerica - Riproduzione riservata