16 dicembre 2024 08:45
I Finanzieri del Nucleo di Polizia economico-finanziaria di Trieste hanno messo fine a un giro di evasione IVA di oltre 1,3 milioni di euro nel commercio internazionale di tessuti e polimeri provenienti dalla Cina. Al termine di tre controlli doganali eseguiti nei confronti del rappresentante fiscale in Italia di altrettante società di diritto sloveno, sono state denunciate sei persone per contrabbando aggravato.
Il risultato è frutto di due anni di indagini nei confronti di un commercialista del centro Italia, con studio a Trieste, e di un 'faccendiere' pugliese iscritto all’AIRE come emigrato a Londra, ma in realtà operante da tempo nel capoluogo giuliano.
I due professionisti - spiegano gli inquirenti - si servivano di quattro prestanome di nazionalità slovena per le tre società, due delle quali con sede a Ljublijana e una a Nova Gorica, e avevano effettuato nel biennio 2020-21 importazioni di tessuti e polimeri di origine cinese, tutte avvenute presso il Punto Franco Nuovo di Trieste, ufficio Fernetti - Retroporto di Trieste, per un valore complessivo di oltre sei milioni e duecentomila euro, in completa evasione dell’IVA dovuta a seguito dell’introduzione dei prodotti sul territorio nazionale.
L’iniziativa investigativa dei Finanzieri triestini ha consentito di definire le responsabilità dei due soggetti principali, che hanno curato la predisposizione delle fittizie dichiarazioni di importazione, indagati per il reato di contrabbando aggravato, insieme ai quattro cittadini sloveni che si erano prestati ad assumere la rappresentanza legale delle società importatrici.
Il meccanismo si basava sull'uso fraudolento del regime doganale 45, introdotto per velocizzare l’immissione in libera pratica delle merci importate, collocate in un 'deposito fiscale': operazione che sospende l’assolvimento dell’IVA dovuta fino al momento dell'uscita delle merci dal deposito. In realtà - affermano gli inquirenti - l’immissione della merce nel deposito fiscale era solamente simulata, allo scopo di rimandare il pagamento dell’IVA dovuta.
La falsa attestazione veniva infatti prodotta al fisco all’insaputa del soggetto economico che risultava avere la materiale disponibilità di tale deposito fiscale, con il proposito di non versare l'IVA.
Le merci così importate erano destinate ad aziende compiacenti; nel caso delle materie plastiche si trattava di imprenditori campani, raggiunti anche loro da provvedimenti giudiziari per i reati tributari commessi.
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