14 agosto 2016 13:17
La Guardia di finanza di Luino, in provincia di Varese, ha scoperto un articolato sistema di false fatture nella vendita di materie plastiche di cui avrebbero beneficiato alcune aziende venete del settore, per un valore complessivo di oltre 40 milioni di euro. L’indagine ha portato alla denuncia di nove persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere finalizzata all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, omessa presentazione delle dichiarazioni, riciclaggio ed autoriciclaggio.
FRODE CAROSELLO. Al centro della frode il ben noto “sistema carosello”, con la quale “aziende cartiere", appositamente costituite, emettono false fatture per merce mai consegnata. Le aziende beneficiarie, distributori o trasformatori di materie plastiche, possono così detrarre costi mai sostenuti e avvantaggiarsi rispetto ai concorrenti che operano correttamente sul mercato.
SOLO CARTA. Al vertice della truffa un imprenditore già noto alle forze dell’ordine per reati fiscali, amministratore di fatto di quattro società ‘fantasma’ intestate a prestanome, prive di dipendenti e di un’effettiva struttura aziendale, con sede nelle province di Milano e di Messina.
Le quattro “cartiere”, secondo i risultati delle indagini condotte dalle Fiamme gialle, avrebbero emesso fatture false per un totale di circa 40 milioni di euro, con una evasione Iva intorno a 4 milioni, consentendo ad alcune aziende venete operanti nella distribuzione di materie plastiche di detrarre costi inesistenti e ottenere così un indebito credito d’imposta. Aziende ora al centro di ulteriori indagini della Finanza.
Una volta svolto il loro compito, senza presentare dichiarazioni fiscali, le società cartiere sono state oggetto di repentine trasformazioni societarie, per essere infine intestate a soggetti nullatenenti.
SGONFIARE IL MAGAZZINO. In seguito, le stesse imprese, sulla base di false certificazioni, emettevano fatture per operazioni inesistenti in esenzione di IVA nei confronti di altre aziende, in modo da poter “sgonfiare” il magazzino creato solo cartolarmente e crearsi così, a conclusione di tale operazione, un rilevante credito d’imposta.
Per rendere verosimili le transazioni commerciali, le false fatture erano seguite da regolari bonifici che riportavano come causale il pagamento di merce. Queste somme di denaro venivano poi prelevate dagli indagati presso diversi sportelli bancari e postali, in modo frazionato per non attirare sospetti; quindi venivano riciclate nel circuito bancario tramite ricariche su carte prepagate intestate agli appartenenti del gruppo criminale.
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