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Un sacco giusto, campagna sbagliata

venerdì 10 giugno 2016

Legambiente ha lanciato nei giorni scorsi la campagna “Un sacco giusto”, che nelle intenzioni dovrebbe spingere i cittadini a rifiutare i sacchi per la spesa non a norma, privilegiando quelli che rispettano i criteri della legge, che nel caso degli shopper monouso in plastica prevedono l’utilizzo di plastica biodegradabile e compostabile secondo la norma UNI EN 13432.

Per dare visibilità alla campagna è stato scelto come testimonial Fortunato Cerlino, l’attore che presta il volto a Pietro Savastano, il boss della serie tv Gomorra.

L’idea che si vuol far passare, sostenuta anche nel sito internet della campagna (http://www.legambiente.it/unsaccogiusto), è che dietro alla produzione e distribuzione di sacchetti per la spesa fuorilegge vi siano le grandi organizzazioni criminali, per altro creando anche un po’ di confusione, come si evince dal testo: “Lo sapevi? Dietro a una busta per la spesa potrebbe nascondersi la criminalità organizzata, che in Italia controlla gran parte del mercato dei sacchetti di plastica bio (sic), non soltanto al Sud, e impone ai commercianti l’acquisto e la distribuzione di prodotti illegali non compostabili”. Per poi aggiungere: “Metà dei sacchetti in circolazione in Italia sono illegali, il valore perso dalla filiera legale è di circa 160 milioni di euro, a cui si devono aggiungere 30 milioni di euro di evasione fiscale e 50 milioni di euro per lo smaltimento delle buste fuori legge”.

Ora, è senz’altro corretto affermare che i sacchetti che non rispondono ai criteri dell’articolo 2 del decreto legge 25 gennaio 2012 sono illegali (non ammessi dalla legge), ma non tutto ciò che è illegale è criminale (delitto, reato grave), perché se no lo sarebbe anche parcheggiare sulle strisce pedonali o passare sul rosso. E non tutto ciò che è delittuoso è riconducibile alla criminalità organizzata. Affermare poi che mafia e camorra controllino “gran parte del mercato dei sacchetti di plastica bio” crea ulteriore confusione: significa forse che metà dei sacchetti prodotti con plastiche biodegradabili e compostabili sono gestiti dalle organizzazioni criminali? Ovviamente non è questa l’intenzione, ma si potrebbe interpretare così.

Criminalizzare lo smercio di sacchetti fuorilegge spingerà i cittadini a comportarsi in modo più virtuoso? Improbabile: in compenso insinuerà il sospetto che la produzione di sacchi e sacchetti sia un’attività poco pulita, ai confini con la criminalità o, peggio, legata al crimine organizzato. Già la plastica è malvista, uccide le foche e le balene; facciamo anche credere che ingrassi la malavita, cosa ci può essere di peggio?

Il vero problema è che non vengono eseguiti controlli a tappeto su commercianti e distributori di sacchetti, se non in modo sporadico, lasciando alle Iene il compito di portare avanti le indagini. Un mese di controlli fatti come si deve e di sacchetti fuorilegge non resterebbe alcuna traccia.

di: Carlo Latorre
"Gli articoli in questa sezione non sono opera della redazione ma esprimono le opinioni degli autori"
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